RENDE Partiamo dalla fine. Il dissenso all’Unical, a due settimane dall’incontro-dibattito “L’università della Calabria e il suo futuro” – promosso dai direttori di dipartimento Guerino D’Ignazio, Raffaele Perrelli, Franco Rubino e Paolo Veltri –, ha una piattaforma ufficiale di protesta contro il rettore Gino Crisci. La richiesta non si presta a giri di parole: il rettore deve dimettersi. Lo chiedono i quattro ispiratori della “sommossa” dopo aver ascoltato le ragioni di tutti gli animatori dell’assemblea del 14 dicembre.
Crisci dovrebbe «compiere un gesto responsabile nei confronti di se stesso e dell’intera comunità universitaria: prendere atto della sfiducia e rassegnare le dimissioni dalla carica di Magnifico rettore dell’Università della Calabria. Solo così sarà possibile riattivare il processo di scelta democratica per consentire all’ateneo di riprendere una navigazione sicura. Un passo indietro, in un momento di così alta conflittualità, contribuirà certamente a far ripensare in maniera più efficace il futuro di un’istituzione preziosa per la formazione dei nostri studenti e per la crescita civile e sociale della nostra regione». Senza Crisci – è il succo del discorso – l’ateneo tornerà a funzionare. Perché adesso le cose non vanno. E torniamo all’inizio del documento.
Le critiche partono dal presunto approccio settario della governance dell’ateneo: «Le ripetute istanze di trasparenza nei processi decisionali sono state sistematicamente ignorate, a vantaggio di una gestione (non pianificata e scarsamente istruita e condivisa) che ha consegnato alla governance un enorme potere di discrezionalità nelle scelte sui temi strategici: le direttrici di sviluppo, la programmazione e la ripartizione delle risorse».
Sembra un ritorno alle critiche mosse durante l’era Latorre (le stesse che hanno coagulato forze poi confluite nel fronte che ha sostenuto Crisci): «Quando non completamente assenti, le politiche per la Ricerca sono state non solo scarsamente incisive, ma gestite anche in maniera verticistica (come testimonia il mancato coinvolgimento diretto delle strutture dipartimentali nell’individuazione delle linee strategiche e della rappresentanza dell’ateneo nei luoghi di programmazione e concertazione)».
E la didattica? I docenti non risparmiano neppure quella: «Non è stata oggetto di una seria, meditata e approfondita, revisione, limitando le scelte a una marginale opera di razionalizzazione (a valle di processi decisionali intempestivi e lacunosi), con l’esclusivo scopo di individuare spazi per giustificare l’istituzione di nuovi corsi di laurea. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’offerta formativa poco moderna, i cui posti a bando sono stati riempiti con politiche orientate alla miope ricerca della “quantità” a scapito della “qualità”, incuranti delle conseguenze che tali pratiche dilettantesche avranno, nel futuro prossimo, sulle risorse dell’ateneo».
I servizi del Campus, poi, che hanno sempre rappresentato la «colonna portante del diritto allo studio in un’università residenziale, si pongono largamente al di sotto delle aspettative degli studenti, in termini di qualità, puntualità e fruibilità. Il Campus – privo, con lo spuntar della sera e negli ultimi giorni della settimana, di bar aperti e di qualsiasi punto di incontro – vivacchia ancora in agonia, ben lontano dall’essere centro di aggregazione della vita universitaria ed extra-universitaria».
Non è tutto: perché oltre alla sostanza c’è anche la forma. «L’inadeguatezza sul fronte “interno” della gestione dell’università – scrivono D’Ignazio, Perrelli, Rubino e Veltri – trova anche riscontro nell’inadeguatezza sul fronte “esterno”: il rettore, come purtroppo è stato più volte notato, non prepara i suoi interventi pubblici, offrendo un’immagine non adeguata della nostra comunità e del suo prestigio. Quando un rettore prende la parola, in qualsiasi tipo di occasione e di cerimonia in cui rappresenta l’Università, dovrebbe essere cosciente degli obblighi che questo ruolo gli impone: la superficialità non condanna solo chi pronuncia il discorso ma anche l’intero ateneo rappresentato».
Questo il quadro, «la cui responsabilità è da attribuire esclusivamente alle scelte operate nel corso del passato triennio dal professor Gino Mirocle Crisci. Il clima di profonda sfiducia che si è generato in tutte le componenti dell’ateneo è da attribuire alla politica dell’attuale rettore, basata sulla totale e strumentale assenza di capacità di programmazione, di visione strategica e di sintesi tra le varie anime dell’Unical, al punto da mettere seriamente a rischio il ruolo sociale e la guida culturale che la comunità e il territorio hanno, da sempre, riconosciuto al nostro ateneo».
I quattro docenti sono anche senatori accademici. Inevitabile che entrino nel merito della gestione del “loro” organo di rappresentanza: «La politica di marginalizzazione del Senato accademico e dei dipartimenti – scrivono – ha prodotto un uso distorto del potere, oramai orientato esclusivamente verso la soddisfazione delle richieste occasionali dei singoli, perdendo di vista la pianificazione condivisa dello sviluppo armonico dell’Università della Calabria nel suo insieme. Per questo motivo, l’Ateneo attraversa oggi una delle crisi di identità più forti e laceranti della sua storia, aggravata dal contesto e dai meccanismi concorrenziali di accesso alle risorse, fattori che richiederebbero organizzazione e metodo e non pratiche inadeguate, estemporanee e superficiali, come quelle poste in atto dall’attuale governance».
Il cahier de doléances è lungo: «Tra le questioni più importanti sono emerse (nel corso del dibattito, ndr) richieste su questi specifici punti: maggiore trasparenza e puntualità di pubblicazione di tutti gli atti dei vari organi collegiali; discussione in un’assemblea d’Ateneo delle linee programmatiche del bilancio dell’Università; orario prolungato di apertura delle biblioteche; destinazione di spazi e aule, facenti capo a Dipartimenti e all’Amministrazione centrale, per spontanee iniziative sociali e incontri culturali organizzati dagli studenti; possibilità di rendere pubbliche le sedute degli organi collegiali».
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