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Cinema, ecco la “Recherche” di Andrea Belcastro

COSENZA E se la nostra intera esistenza non fosse altro che un sogno ad occhi aperti che non sappiamo di sognare, una bolla di sapone destinata a dissolversi al tocco di un’entità, vera o presunta,…

Pubblicato il: 04/01/2017 – 15:28
Cinema, ecco la “Recherche” di Andrea Belcastro

COSENZA E se la nostra intera esistenza non fosse altro che un sogno ad occhi aperti che non sappiamo di sognare, una bolla di sapone destinata a dissolversi al tocco di un’entità, vera o presunta, chiamata a decidere delle nostre sorti? Se tutto ciò che abbiamo vissuto, sperato, amato, temuto fosse solo un’illusione, la messa in scena di un copione surreale percepito come assolutamente realistico? È quanto si chiede il giovane regista cosentino Andrea Belcastro nella sua personalissima “Recherche”, titolo più che mai evocativo dell’ultimo lavoro in cui va alla ricerca del significato più profondo della vita, quello che ognuno di noi è impegnato a rintracciare quotidianamente, ma che è impossibile decifrare se non alla fine – e forse nemmeno allora – del nostro viaggio sulla Terra.
Il cortometraggio, realizzato grazie ad una campagna di crowdfunding in collaborazione con Open Fields Productions e prodotto da Paola D’Orsogna per Tecnagon Produzioni, prende il via dall’immagine di un Dio suicida che tenta così di espiare la propria colpa per aver generato un mondo imperfetto ed ingiusto; prima di spararsi il fatidico colpo in gola, però, quest’uomo canuto – dall’aspetto divino ma pervaso dai sentimenti più tipici degli esseri terreni – affida alle onde del mare una bottiglia con dentro un messaggio di scuse indirizzato all’umanità. Da lì in poi, come in un succedersi di scatole cinesi, i sogni daranno vita ad altri sogni e poi ad altri ancora, e la ricerca di un senso da attribuire ai nostri gesti, alle nostre paure, quella di morire, di invecchiare, di soffrire, di vivere anche, diviene sempre più fitta e angosciante e priva di risposte tangibili: saranno forse le passioni, di qualunque natura esse siano, a muovere i congegni sotterranei del mondo sensibile? È forse contenuto in un bacio o in un pianto il vero significato del nostro esistere, di cui riusciamo a intravedere soltanto un unico, ed inevitabile, finale?
Belcastro non ha alcuna pretesa di avere in tasca soluzioni definitive ai nostri dubbi, anche perché non potrebbe averne; offre semmai degli spunti per riflettere e tiene a rimarcare il ruolo dell’artista all’interno della “recherche”: «Cercare, come ho provato a fare io stesso in questo mio lavoro, il senso dell’esistenza non è altro che il compito dell’arte. Che per qualcuno è l’arte stessa», sancisce. Inevitabile il richiamo alla ricerca proustiana, ma con qualche differenza sostanziale: laddove in Proust spazi e tempi erano ben definiti, nel corto di Belcastro i contorni appaiono sfumati, i legami senso-motori allentati, il senso della vaghezza prende il sopravvento per generare un realismo onirico che è degno erede di quello felliniano. C’è dentro però anche Pasolini e l’omaggio al Decameron, la serie televisiva “Lost”, l’inconscio lynchiano, e tutto un arsenale di riferimenti disseminati qua e là nell’arco della narrazione. Ulteriore nota di merito, un cast d’eccezione interamente calabrese (Giovanni Turco, Francesco Aiello, Ernesto Orrico, Marcello Arnone, Rita De Donato, Giuseppe Panebianco, Carlo Gallo e Alessandro Cosentini), chiamato a muoversi sullo sfondo di un set tutto cosentino.
Se è vero che «l’unico vero realista è il visionario», la ricerca di Belcastro, che nel frattempo guarda al lungometraggio, è la più pragmatica tra quelle possibili.

Chiara Fazio
redazione@corrierecal.it

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