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Lavoro, perché in Calabria diminuiscono gli occupati

Una vera e sostanziale ripresa economica in Italia ancora non si è realizzata. In questo scenario le maggiori forze recessive sono costituite dal crollo dei consumi che non accenna a diminuire e&nb…

Pubblicato il: 04/01/2017 – 15:00
Lavoro, perché in Calabria diminuiscono gli occupati

Una vera e sostanziale ripresa economica in Italia ancora non si è realizzata. In questo scenario le maggiori forze recessive sono costituite dal crollo dei consumi che non accenna a diminuire e  le regioni deboli come la Calabria risentono di questa situazione precaria.
Le motivazioni dello “sviluppo debole” presente nelle regioni meridionali, e in Calabria in particolare, vengono attribuite genericamente alle diseconomie esterne cioè tutti quei fattori, esterni alle imprese (dunque “indipendenti” dalla scelte e dalle abilità imprenditoriali), che agiscono negativamente sull’attività delle imprese stesse, facendone lievitare i costi di produzione e peggiorando l’efficienza e la qualità dei processi e dei prodotti, rendendole quindi meno competitive o precludendone perfino la nascita.
Analizzando queste diseconomie esterne, atteso che il sistema politico/amministrativo regionale non le ha mai affrontato n la necessaria determinazione e competenza, si può avere un quadro delle cause che hanno storicamente condotto al differenziale di sviluppo fra la Calabria e il resto del paese.
Queste diseconomie si possono racchiudere in 5 aspetti:
-Scarsa e inefficiente dotazione infrastrutturale; -Sistema produttivo debole;
-Inefficienza della Pubblica amministrazione; -Forte incidenza dell’economia criminale, illegale e sommersa; -Oggettiva situazione di deprivazione.
Combattere la criminalità organizzata, infrastrutturare il territorio,  concentrandosi su opere di effettivo potenziamento e allargamento del network,  orientare meglio l’alta formazione, nonché diffondere e far crescere una nuova cultura e una più ampia classe imprenditoriale: queste sono le politiche strutturali che ormai, a tutti i livelli di governo (regionale, nazionale, comunitario), vengono chiaramente condivise e realizzate. È evidente, però, che tali politiche incidono su fattori strutturali, che richiedono tempi lunghi per essere modificati e per poter apportare benefici all’economia regionale. In Calabria, purtroppo, si continua ad attuare solo “politiche passive del lavoro”, che incidono cioè, solo, sul tessuto esistente, a partire dalla garanzia del sostegno al reddito dei precari e dei disoccupati di lunga durata che in Calabria sono ricompresi in circa 27.000 unità. 
Sul versante del mercato del lavoro nel terzo trimestre 2016 in Calabria si assiste ad una diminuzione del tasso di disoccupazione che passa dal 23.4% del secondo trimestre al 21.0% del terzo, alla stazionarietà del tasso di occupazione che passa dal 39,8% del secondo trimestre al 39,7% del terzo, senza che vi sia aumento di occupati e soprattutto rimanendo al di sotto della soglia psicologica del 40 % di occupazione, e alla diminuzione del tasso di attività che passa dal 52,3% del secondo al 51,0% del terzo trimestre.
Questo transito, con conseguente diminuzione del numero dei disoccupati, non costituisce un segnale positivo perché è segno di uno scoraggiamento che porta i lavoratori a mettersi fuori dal mercato o a rifugiarsi nel sommerso e nelle attività irregolari o in elusione. 
La mancata ricerca di lavoro è quindi causata essenzialmente dallo scoraggiamento nella ricerca di lavoro, per effetto della mancanza di domanda. La mancata creazione di nuovi posti di lavoro, in un momento in cui il mercato del lavoro presenta segnali positivi un po’ dappertutto in Italia denota che l’’elettroencefalogramma dell’’economia calabrese è completamente piatto.
Una particolare attenzione va prestata all’’economia sommersa ed al lavoro irregolare che in Calabria nel 2016 i primi indicatori mostrano in crescita. Anche perché lo scenario sopra descritto porta fisiologicamente ad un aumento del sommerso, nel quale, di norma, si rifugiano le imprese in tempo di crisi per accrescere (o migliorare) le condizioni di remunerabilità del rischio di impresa. In questa ottica, va considerato che il jobs act in Calabria, per come da noi più volte affermato, ha di fatto agito come una politica di emersione del lavoro irregolare e ha limitato l’effetto dell’aumento del sommerso stesso. 
Le politiche del lavoro messe in campo negli ultimi anni si sono rivelate, quindi, totalmente inutili. A fronte di centinaia di milioni di euro spesi attraverso il Fondo sociale europeo e in presenza degli incentivi messi in campo dal jobs act che hanno portato risultati positivi in quasi tutte le regioni italiane la Calabria è rimasta al palo, senza che ormai si possa neanche più accampare l’’alibi della crisi economica globale. A ciò si aggiunge il totale fallimento di Garanzia Giovani.
Estremizzando un poco il ragionamento si può affermare con tutta evidenza il fatto che le politiche del lavoro in Calabria non sono riuscite a creare un solo nuovo posto di lavoro, ma sono servire semplicemente a ricorrere e cercare di mettere una pezza alle tante emergenze, salvaguardo il reddito di soggetti in mobilità in deroga, prevalentemente. 
Fa certo piacere, se ciò verrà confermato dai dati, che la Calabria ha raggiunto i target di spesa comunitaria. 
Sarebbe però necessario che accanto ai target di spesa si fossero raggiunti i target in termini di obiettivi di sviluppo e di crescita dell’occupazione. Guardando i target degli obiettivi di sviluppo dobbiamo però con dispiacere notare che non solo nessun target è stato raggiunto, ma che la situazione attuale è di gran lunga peggiore di quella del 2006. Come dire abbiamo speso tutto per ottenere meno che niente!

*Economisti

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