ROMA «Non c’è dubbio che Marco Minniti sia il tratto più a colore di un governo fotocopia ingiallita del precedente. Ed è un tratto a colori perché rappresenta una politica fondata sulla professionalità e sulla specializzazione, cosa rara in Italia, in una stagione di improvvisatori, di giovanilismo e nuovismo come valori, di ideologia della rottamazione». È il commento rilasciato all’Huffingtonpost del bersaniano Miguel Gotor sul neoministro calabrese Marco Minniti, new entry nel governo Gentiloni.
«Insomma una novità, che sa di antico – scirve l’Huffpost -. Nello stile, nella formazione, nella sostanza. Riservato, riservatissimo Minniti, senza neanche un profilo facebook e twitter. Comunista da giovane, dalemiano in età matura, è nel gruppo dei Lothar che nel 1999 gestisce, da palazzo Chigi, l’intervento in Kosovo. Oggi è a giudizio di tutti il protagonista del cambio di passo sul dossier immigrazione, uno dei più delicati. O meglio: immigrazione-integrazione-sicurezza». E il senatore Nicola Latorre spiega: «La novità è che c’è una strategia complessiva per gestire i flussi migratori. Una strategia che respinge sia il semplicismo populista alla Salvini sia il buonismo astratto e ideologico di una certa sinistra».
Per Huffingtonpost, fino a poco tempo fa «c’era Matteo Renzi, che inondava l’etere con le sue parole d’ordine sull’Europa che non ci può lasciare soli, con i suoi j’accuse dopo ogni tragedia dei barconi e con le sue visite a Lampedusa, a favor di telecamera dopo l’Oscar a Fuocoammare. E c’era Angelino Alfano, ministro assente, che per anni ha di fatto delegato tutta l’attività del Viminale al suo capo di gabinetto per dedicarsi alla sua attività di leader politico. Proprio durante il cambio di governo – da Renzi a Gentiloni – sono arrivate ai vertici istituzionali parecchie telefonate da parte di sindaci, ma anche di pezzi di apparati per chiedere un vero ministro al Viminale in grado di mettere testa, impegno e professionalità in un ministero cruciale». «Basta parlare col personale o con i corpi di polizia – rivelano fonti dei sindacati di polizia – per avvertire il senso di abbandono e l’irritazione verso Alfano. Il Viminale è stato in questi anni di fatto abbandonato. Col caso Shalabayeva poi il rapporto di fiducia si è rotto».
Effettivamente il cambio di clima al Viminale, con l’arrivo di Minniti, è percepibile, in termini di collaborazione e fiducia: «Il nuovo ministro – proseguono le stesse fonti – ha massima sintonia col capo della polizia Gabrielli, con la Digos, con i Servizi. E gli viene riconosciuta competenza». Minniti sa bene che il primo nemico da battere è la rivalità tra i corpi dello Stato. Per anni, durante tutto il periodo in cui si è occupato della delega ai Servizi segreti, ha presieduto riunioni settimanali con i responsabili di Dis, Aisi, Aise: la cabina di regia che sorveglia la sicurezza nazionale.
Appena insediato al Viminale, arriva la “svolta”. L’obiettivo è prpepare un nuovo piano assieme al capo della polizia Franco Gabrielli e al prefetto responsabile dell’accoglienza Mario Morcone, basato su due direttive: «severità» e «integrazione». Un piano, di cui fa parte il viaggio in Nord Africa di questi giorni e l’annuncio della riapertura dei Cie, che si fonda su una constatazione tanto semplice e tanto drammatica: «Il sistema delle espulsioni e dei rimpatri non funziona». Sui rimpatri la soluzione si chiama Cie, i centri di identificazione e di espulsione introdotti dalla Turco-Napolitano nel 1998, parecchi dei quali l’Europa ci ha fatto chiudere perché diventavano vere e proprie galere, visto che gli stranieri invece che 90 giorni, come prevede la legge, ci rimanevano due anni. Il 19 se ne parlerà alla Conferenza Stato regioni, subito dopo che il ministro avrà concluso il suo viaggio in Nord Africa. E su questo arriva il commento di Maurizio Gasparri: «Minniti è realista ma la sinistra terzomondista insorge». Un autorevole sottosegretario così fotografa la situazione: «Il punto è che finora non c’era governo del problema. E non c’era autonomia decisionale dei ministri. Ora i ministri sono tornati a fare i ministri. E chiaramente il Viminale è un ministero che, se non è fermo, si sente. Minniti si sta muovendo su più direzioni: rimpatri forzati, cioè espulsioni, rimpatri cosiddetti volontari, ma anche ampliamento del sistema di accoglienza e integrazione. Di questo fa parte la lettera scritta dal Viminale ai prefetti, affinché rispettino l’accordo con l’Anci che prevede l’invio di 2,5 migranti ogni mille abitanti».
Se l’accoglienza diventasse uno dei «compiti istituzionali» dei Comuni con tanto di finanziamento stabile, al pari di anagrafe, scuola, asili nido, – conclude l’Huffingtonpost – sarebbe il completamento della svolta radicale sull’integrazione, culturale innanzitutto perché certificherebbe che il fenomeno viene accettato e governato come un fenomeno ordinario, non straodinario. Qualche sindaco l’idea l’ha già fatta arrivare al Viminale: 170mila immigrati – è il senso – divisi tra 8 mila comuni proporzionalmente alla popolazione renderebbe il tutto più sostenibile. Insomma, da Paese normale».
x
x