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A Lamezia la “terza guerra mondiale” degli Zen Circus

LAMEZIA TERME Dopo il successo dei primi due appuntamenti con i cantautori Francesco Motta e Cosmo, è toccato ieri sera agli Zen Circus chiudere la winter session del Color Fest di Lamezia Terme, p…

Pubblicato il: 06/01/2017 – 13:49
A Lamezia la “terza guerra mondiale” degli Zen Circus

LAMEZIA TERME Dopo il successo dei primi due appuntamenti con i cantautori Francesco Motta e Cosmo, è toccato ieri sera agli Zen Circus chiudere la winter session del Color Fest di Lamezia Terme, promossa dall’associazione “Cosa sono le nuvole”. La band toscana ha presentato il suo nuovo lavoro La terza guerra mondiale, uscito lo scorso 23 settembre e piazzatosi subito al 6° posto della classifica settimanale FIMI dei dischi più venduti in Italia, generando oltre un milione di ascolti in streaming in sole tre settimane. Un album tagliente e spietato, una guerra immaginaria proprio dietro l’angolo. Tra le macerie di un mondo ipervirtuale senza controllo, piazze vuote e rivoluzioni inesistenti.

Partiamo dal titolo dell’album: La terza guerra mondiale. Perché?
Andrea: «Si tratta di un titolo simbolico, un conflitto ipotetico. Viviamo un periodo storico di gran confusione, dal punto di vista sociale ma anche politico, che sta generando tra la gente un forte desiderio bellico. Tale atteggiamento non fa che sfociare in un populismo spietato, in nuove forme di fascismo ed in una visione paradittatoriale della società. Allora, visto che lo scontro viene sempre, costantemente, invocato da tutti, ci siamo chiesti: cosa accadrebbe se scoppiasse davvero? Cosa faremmo se la guerra fosse realmente a due passi da noi? Continueremmo a voltarci dall’altra parte come stiamo facendo adesso, perché il problema non ci riguarda direttamente?».

Dopo diciotto anni di carriera, siete giunti al nono disco. Potremmo definirlo, in tutti i sensi, il disco della maturità. Ma cosa lo rende davvero diverso dagli altri?
Karim: «La terza guerra mondiale suona decisamente meglio. E ce lo confermano non solo i risultati delle classifiche, ma anche le risposte che riceviamo dal pubblico durante i concerti. Spesso è necessario molto tempo prima che un brano si sedimenti nella memoria degli ascoltatori: canzoni come L’anima non conta, invece, hanno avuto sin da subito un forte impatto emotivo sulle persone, ce ne accorgiamo da come le cantano. E poi questo è un album più quadrato, abbiamo selezionato accuratamente i dieci singoli che lo avrebbero composto su oltre quaranta provini, è più spinto, le sonorità sono più rock, spaziando dal pop al post-punk mentre, ad esempio, Canzoni contro la natura aveva un concept diverso, con richiami più ancestrali. Non che gli altri lavori non abbiamo avuto successo, si può dire che da Andate tutti affanculo in poi la strada sia stata in ascesa, ma questo è senza dubbio il disco che ci è riuscito meglio».

Zingara è, si legge all’inizio del video, “la prima canzone scritta direttamente dagli italiani”. È lo specchio drammatico di un odio nazionalista che non conosce precedenti. Credete che si possa ancora lavorare per recuperare una sana cultura dell’integrazione e dell’accoglienza, oppure distruggere il sistema dalle fondamenta, questa terza guerra mondiale, è secondo voi l’unica soluzione auspicabile per tornare ad una qualche forma di civiltà?
Karim: «Abbiamo deciso di evitare appositamente la pubblicazione di frasi dal contenuto necrofilo o altre che incitavano addirittura alla tortura e al vilipendio di cadavere; ma tutto quello che si legge è maledettamente vero. Il disco degli Zen non è un disco politico, perché musica e politica sono per noi due cose distinte. Abbiamo una visione sociale della musica, ma non ci interessa l’appartenenza partitica e abbiamo sempre detestato le band che, specialmente negli anni ’90, salivano su un palco sventolando bandiere solo per fare soldi; e infatti, ogni qual volta un intervistatore definisce il nostro genere “combat rock”, finisce a cazzotti (ride). Scherzi a parte, siamo ormai persuasi dell’impossibilità di rialzarsi per questo paese: la gente vive nella disinformazione, è convinta di informarsi sfogliando la bacheca di Facebook. Si è generato un dissenso dopato, non ragionato, in molti da quando possiedono uno smartphone sono diventati più aggressivi. È necessario compiere un altro giro a vuoto per comprendere il senso dell’esperienza antropologica dei social network, ed essere in grado di metabolizzarne l’uso».

A proposito di social, in Ilenia, seconda traccia del disco, è presente un richiamo inequivocabile alle “piazze” virtuali. E infatti dite: Ilenia qui le piazze sono affollate/ ma innocue/ormai le piazze fanno rivoluzioni solo quando sono vuote/Ilenia/ la piazza è vuota/ Ilenia/ la piazza è muta. È un brano che sembra racchiudere la poetica dell’intero disco…
Ufo: «Sì, proprio così. Ormai le rivoluzioni si fanno sui social: io ho visto nella sola giornata di oggi almeno tre o quattro rivoluzioni sulla mia homepage di facebook! Il fatto è che siamo una generazione cresciuta nelle piazze. La piazza è stato il luogo in cui, lungo tutto il ‘900, abbiamo fatto politica, intessuto relazioni sociali, coltivato interessi. A partire dagli inizi del 2000, la piazza è sparita. Ilenia è una diciannovenne, e nessuno meglio di lei può raccontare i disagi, le paure, il modo di vivere iperrealistico degli adolescenti di oggi, senz’altro profondamente diverso dal nostro».

Vedere una piazza gremita come quella di ieri potrebbe voler dire che per il mondo giovanile di oggi c’è forse ancora qualche speranza di recuperare?
Andrea: «Sarebbe bello se fosse davvero così, ma le due cose non sono necessariamente correlate: crediamo che la musica abbia potere sul singolo, non sulla collettività».

Chiara Fazio
redazione@corrierecal.it

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