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La strana partita degli aeroporti in Calabria

La crisi del sistema degli aeroporti calabresi si è trascinata a lungo, ma si sapeva che prima o poi si sarebbe arrivati al punto. A nulla sono valse numerose denunce, a cadenza quasi annuale sin d…

Pubblicato il: 08/01/2017 – 10:58
La strana partita degli aeroporti in Calabria

La crisi del sistema degli aeroporti calabresi si è trascinata a lungo, ma si sapeva che prima o poi si sarebbe arrivati al punto. A nulla sono valse numerose denunce, a cadenza quasi annuale sin dal 2012, dei rischi che la Calabria stava correndo. La politica è rimasta sorda ogni volta e si dice che non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire. Il guaio è che i nodi vengono al pettine e assumono oggi connotazioni drammatiche per i lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro, per i cittadini che si trovano a perdere dei servizi ritenuti fino all’altro ieri garantiti, per l’economia e il futuro di una regione che zoppica vistosamente.
Purtroppo non esiste da tempo una classe dirigente calabrese, esiste piuttosto un ceto politico autoreferenziale costituito, con qualche rara eccezione, di politici di lungo corso, carrieristi di mestiere incapaci di conseguire risultati apprezzabili per la comunità, di rampanti di ultima generazione che aspirano a seguire la carriera di partito e di potere sulla scia dei predecessori. Non a caso si susseguono ormai da anni inchieste, scandali, cambi di casacche, collusioni, fenomeni corruttivi, degenerazioni, condanne, in una tragedia senza fine che vede la Calabria soccombere e registrare tutti i primati negativi possibili, salvo occasionali eccezioni di buone prassi. E’ a questo ceto politico che si deve oggi l’ennesima débacle nel settore del trasporto aereo.
La Calabria ha goduto di finanziamenti pubblici sostanziosi che hanno contribuito a far nascere e vivere 3 aeroporti; essi nascevano per supplire alla mancanza di collegamenti rapidi ed agevoli con il Nord Italia, per contribuire a superare il fenomeno dell’isolamento di una regione periferica e in forte ritardo di sviluppo. La logica delle sovvenzioni pubbliche è tuttora vigente in altri contesti a sostegno di territori particolarmente sofferenti o isolati; basti pensare a Lampedusa e Pantelleria in Italia, alla Corsica in Francia, alle Canarie in Spagna. Ma negli ultimi due decenni si è andata affermando una “prassi economica liberista” con precursori di peso come Thatcher e Reagan, che ha spinto l’Europa verso la graduale cancellazione di forme di welfare tutelanti le comunità più deboli e verso il sostegno sfrontato a grandi gruppi spregiudicati della finanza e dell’impresa d’assalto. In nome della dichiarata insostenibilità finanziaria dei bilanci di aziende pubbliche, si è affermato il principio che tutto dovesse essere mercificato e posto sul mercato. In questa ottica si è giunti a sostenere l’equazione “pubblico = perdita”, ovvero “privato = efficienza”. La storia insegna che tali equazioni sono risultate spesso errate; numerosi Enti di Stato, via via privatizzati, risultavano efficienti e redditizi in mano pubblica (IRI, SIP, Alitalia, Poste, …). Viceversa sono ormai evidenti e numerosi i casi di crisi di grandi aziende private che hanno aspirato linfa vitale allo Stato Italiano chiamato in soccorso quando ormai prossime alla bancarotta o in difficoltà (Fiat, Alitalia di Colannino, Telecom, Banche, ecc.) secondo il detestabile principio di “concentrare i profitti nelle mani di pochissimi e socializzare le perdite distribuendole sulla moltitudine di italiani tonti”. Non si è cercato il giusto equilibrio fra privato regolato e pubblico controllato; la conseguenza è stata una distruzione generalizzata del sistema economico nazionale. Si stanno gradualmente impoverendo le componenti sane dello Stato, indebolendo le colonne portanti della vita sociale (scuola, cultura, università, sanità, trasporti, sistema giudiziario, perfino le forze dell’ordine), inquinando le risorse naturali, determinando conflitti, emigrazioni forzate, arretramento del Meridione.
In questo quadro non poteva resistere la componente del trasporto aereo. Non a caso è stato il governo Monti, nel 2012 con il ministro Passera, a redigere un Piano aeroporti che doveva portare alla “razionalizzazione” del sistema italiano. La Calabria, nel Piano, è vista come un unico bacino e vi si specifica che gli aeroporti presenti in ciascun bacino possono essere considerati di interesse nazionale solo se si realizzano due condizioni: «che siano in grado di esercitare un ruolo ben definito all’interno del bacino, con una sostanziale specializzazione»; «che siano in grado di dimostrare il raggiungimento dell’equilibrio economico-finanziario, anche a tendere, purché in un arco temporale ragionevole». Condizione, quest’ultima, molto stringente. Nelle stanze dei bottoni la Calabria era già condannata; d’altra parte in sede romana si rimarcava la presenza di ben 3 aeroporti per una regione con appena 2 milioni di abitanti, una “sovradotazione” che andava normalizzata nell’obiettivo sacro dell’efficienza. Il guaio è che il ceto politico locale non solo non aveva compreso quello che stava accadendo, ma continuava a ballare sul Titanic. Gli aeroporti continuavano ad essere gestiti secondo ottiche baronali e clientelari di partito (da Chiaravalloti a Loiero, a Scopelliti, ne abbiamo viste di tutti i colori), ponendo spesso al vertice persone senza adeguate competenze, assecondando pratiche vetuste in termini di assunzioni di personale e di gestione, perpetuando l’assenza di controllo, di piani di sviluppo lungimiranti, di misure dirette al pareggio di bilancio.
L’ultimo cartellino giallo era stato alzato dall’Enac nel 2014, ma una volta ancora la questione è stata sottovalutata dalla politica regionale. Siamo purtroppo giunti al cartellino rosso. Le vicende recenti narrano di una situazione di estrema gravità che mette in luce l’irresponsabilità delle forze e degli uomini politici calabresi: assenti e silenti. Particolarmente deludente appaiono attori come il presidente della Regione, il sindaco della Città metropolitana di Reggio Calabria, i consiglieri regionali e i parlamentari di maggioranza. Sembra siano in stato confusionale; rare e scarne dichiarazioni che inducono a pensare che il futuro sia già stato disegnato nelle solite segrete stanze e non prometta nulla di buono.
Quel che è certo è che la politica sta giocando una brutta partita. In questo quadro è naturale si possano affacciare sulla scena le proposte più fantasiose e particolari. Non sostenute da studi e talvolta neppure da buon senso, spesso esse esprimono interessi di qualche lobby o banale propaganda elettorale. L’attenzione della comunità viene distorta ad arte, si disegnano illusioni, si relegano nella nebbia i problemi veri e le soluzioni abbordabili. E viene meno perfino la buona prassi che connotava l’agire di esponenti politici di spessore nel passato, quella del confronto con tecnici qualificati, con la ricerca, con le università. Ne deriva un quadro desolante di modeste idee progetto che finiscono sui giornali e danno vita a fazioni e chiacchiere a perdere. E’ il caso dell’inserimento nelle previsioni del Piano regionale dei Trasporti di un nuovo aeroporto nella Sibaritide (avallato trasversalmente da tutto il ceto politico regionale); è il caso del paventato sostegno all’aviosuperficie di Scalea, costruita incautamente sull’alveo di una fiumara; è il caso dell’incauto e contraddittorio interesse manifestato da personalità di spicco come Oliverio e Falcomatà per il Ponte sullo Stretto in chiave renziana o della assurda sudditanza nei confronti del governo e dell’Anas che hanno lasciato incompiuta l’autostrada A3 con ben 68 km stralciati in territorio calabrese e oltre 2,6 miliardi di euro di decurtazione finanziaria. E’ purtroppo triste, in queste settimane, assistere ad una sorta di provincialotta espressione della politica nostrana. La logica e il buon senso dovrebbero indurre prudenza, compattezza, iniziativa trasparente, ricerca di competenza per difendere, risanare e rilanciare le 3 strutture aeroportuali esistenti. Un aeroporto non è un giocattolo.
La speranza per gli aeroporti calabresi risiede nelle forze più sane della regione, le forze della cultura, del sapere, dell’imprenditoria onesta. Occorre un Piano strategico, da troppo tempo atteso. Un piano che sia capace di dare risposte serie alle es
igenze di mobilità, articolato in progetti a basso costo, aderenti alla realtà territoriale, attuabili in tempi brevi. Le idee non mancano; alcune di esse sono ben individuate nel caso dell’Aeroporto dello Stretto in un documento elaborato da un gruppo qualificato di tecnici aderenti al Movimento di Cittadinanza Attiva per l’Aeroporto Metropolitano dello Stretto, Strategico e Internazionale (https://www.facebook.com/groups/964726066990016/files/) coordinato dal Prof.Pasquale Amato e dal sottoscritto.
E’ possibile rilanciare gli aeroporti calabresi, anche se il percorso non sarà semplice. Occorre chiarire bene che non si tratta di elemosinare nulla, ma di costruire uno scenario di elevato profilo. Lamezia ha ormai un ruolo significativo nel panorama aeroportuale, ma è bene fare attenzione ad una serie di rischi: situazione di bilancio non proprio rassicuranti, ripercussioni sulla governance derivanti dal recente innesto di un socio privato di peso, problematiche gestionali rilevanti che potrebbero derivare dall’assorbimento degli altri due aeroporti calabresi in caso di aggiudicazione della gara Enac). L’aeroporto di Reggio non va considerato banalmente come un aeroporto periferico calabrese; esso possiede un bacino notevole di utenza, esteso all’intera area metropolitana dello Stretto, ed è strategico anche per posizione e connotazioni territoriali. Il suo potenziale risulta inespresso in ragione di una modesta offerta di rotte e di compagnie operative, di una carenza nei servizi di trasporto finalizzati all’accessibilità, specialmente sul versante messinese; d’altronde sui pochi voli esistenti si registrano tassi di occupazione molto elevati; esso potrebbe giocare anche un ruolo internazionale stante la centralità mediterranea e il fatto che l’aeroporto di Catania si avvia alla saturazione. L’aeroporto di Crotone ha potenzialità rilevanti legate al contesto turistico-ambientale e ad una vasta area territoriale ionica, a patto di migliorare anche in questo caso la rete dei servizi di trasporto per renderlo più accessibile.
Naturalmente, occorre attivare anche una seria politica di sviluppo del territorio regionale, valorizzando sul serio le risorse ambientali, culturali, archeologiche, agricole, logistiche, e promuovendo la Calabria come meta di pregio nei circuiti turistici internazionali. Da notare che l’isola di Creta ha meno di 700 mila abitanti e 3 aeroporti, di cui due internazionali; e conta su circa 10 milioni di passeggeri l’anno. L’aeroporto di Monastir, sulla costa centro-orientale della Tunisia registra circa 5 milioni di passeggeri l’anno. In entrambi i casi con il 90% di utenti turisti.
Bisogna assumere scelte decise e lungimiranti, una governance tecnica degli aeroporti di primo livello, non assoggettata a baronie di partito, capace anche di dare serenità e prospettive alla comunità e ai lavoratori. E’ opportuno un piano di interventi organico strutturato e misurato con il governo centrale, a costo di farne una vertenza nazionale. Occorre un piano integrato di trasporti pubblici per favorire l’accesso rapido e affidabile degli utenti dall’intero territorio calabrese, dalla Basilicata, dal messinese; un potenziamento dei servizi ferroviari, marittimi e automobilistici, sincronizzati con gli orari dei voli. Una politica di marketing seria e mirata al rafforzamento dell’offerta di trasporto aereo, guardando anche ai voli interregionali e al Mediterraneo. Le infrastrutture esistono, si possono apportare miglioramenti, ma è soprattutto sulla sfera dei servizi che bisogna agire, prima che sia troppo tardi. Una condizione irrinunciabile per risalire la china rimane comunque una classe dirigente autorevole, con uomini di governo capaci, competenti, appassionati, disinteressati.

*ordinario di Trasporti Università Mediterranea di Reggio Calabria e Coordinatore regionale Movimento Altra Calabria

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