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SHOWDOWN 3 | L’ascesa di Sestito e la faida dei boschi

CATANZARO Il collaboratore di giustizia Gianni Cretarola ha individuato la caratura criminale di Massimiliano Sestito da come camminava nel cortile del carcere di Sulmona durante l’ora d’aria, nel …

Pubblicato il: 10/01/2017 – 20:02
SHOWDOWN 3 | L’ascesa di Sestito e la faida dei boschi

CATANZARO Il collaboratore di giustizia Gianni Cretarola ha individuato la caratura criminale di Massimiliano Sestito da come camminava nel cortile del carcere di Sulmona durante l’ora d’aria, nel 2007. Lì Sestito era detenuto per l’omicidio del carabiniere Renato Lio. «Io colgo, dottore, con l’esperienza che mi era maturata precedentemente negli altri istituti – dice il pentito –, dove uno ‘ndranghetista o una persona che è stata vicina a un ambiente ‘ndranghetista – anche da “contrasto onorato da “giovanotto d’onore che sia – senza che nessuno parli basta che vada all’aria, capisci chi è appartenente e chi non è appartenente, basta porgere una domanda». Cretarola racconta ai magistrati della Distrettuale di Catanzaro – l’aggiunto Giovanni Bombardieri e il sostituto Vincenzo Capomolla – che lo stanno interrogando: «[…] basta che io vedo come lui cammina all’aria in quale posizione […] si cammina avanti e indietro all’aria, si posiziona, io capisco sia la dote che porta e sia l’esperienza che ha». Quello che Cretarola era venuto a sapere, riassume il gip Giovanna Gioia, è che «Massimiliano Sestito era stato battezzato nella ‘ndrangheta dalla famiglia Iozzo, che gli erano state attribuite le cariche di picciotteria, camorra e sgarro in un’unica soluzione, che prima degli screzi con il gruppo Iozzo era operante nel locale di Chiaravalle Centrale». Cretarola, inoltre, racconta che a Sestito «era stato attribuito il ruolo di capo del locale di Gagliato (una delle ‘ndrine che compongono il locale di Soverato), titolo preteso dal medesimo in relazione all’essere egli stato l’appartenente al gruppo che ha scontato la maggior pena per i reati commessi». Dal 2007 al 2010 Cretarola e Sestito convivono nella stessa prigione. Ne nasce un rapporto che si consolida e spinge Sestito a promuovere l’affiliazione di Cretarola. A Sulmona, come in tutti gli istituti di pena, vengono messe in atto precise formule. «Quando arriva un detenuto – che sia calabrese o che sia di origine calabrese – e arriva in un carcere, si presenta ad un altro calabrese ad un altro paesano. Quella persona parlando pocamente (sic) con quell’altra persona capisce se è affiliato. Una domanda banale, basta chiedere il numero di scarpe…», racconta il collaboratore.



L’OMICIDIO DEL CARABINIERE E L’ALLONTANAMENTO DAGLI IOZZO «Quando c’è stato l’omicidio del carabiniere, gli Iozzo hanno preso le distanze da Sestito – spiega Cretarola ai magistrati – perché l’avevano precedentemente sconsigliato di voler fare ‘sta cosa e invece lui è voluto andare lo stesso […] perché rivendicava che questa persona (il carabiniere Renato Lio, nda) con lui gli aveva fatto degli abusi e tutto quanto, però loro, persone più grandi, non volevano questa cosa perché a livello di ‘ndrangheta non si poteva attaccare una persona dello Stato in quella maniera perché avrebbe portato scompiglio. Quindi quando è successo sto fatto loro l’hanno un pochettino allontanato perché è stato sostenuto dalla famiglia Lentini, nella qualità di Turi Lentini e Michele Lentini». Quando Sestito, subito dopo il delitto si buttò latitante, furono i Lentini ad aiutarlo. Dopo un breveperiodo nelle montagne vicino a Chiaravalle, «è stato accolto dalla famiglia Lentini. La mamma lo accudiva in una stalla – la mamma quindi moglie di Turi e mamma di Michele, lo accudiva lei gli portava il secchio, gli portava da mangiare e queste cose qua», spiega il collaboratore.



LE MIRE SU GAGLIATO E LA FAIDA DEI BOSCHI Sestito, soprattutto, sintetizza il gip, rivendicava le sue mire sul paese di Gagliato «occupato negli anni dalla famiglie Iozzo-Chiefari, anche per l’importanza dei lavori che stavano eseguendo, per la realizzazione della trasversale delle Serre». Gli Iozzo-Chiefari non avevano intenzione di abbandonare il territorio: le ostilità con Sestito si erano manifestate dapprima con alcuni danneggiamenti compiuti, per conto di Massimiliano, dal fratello Davide Sestito (fa bruciare dei mezzi appartenenti ai Iozzo-Chiefari, nda) fino alla definitiva rottura che «diede vita alla “faida dei boschi”», in particolare con la richiesta di 20 mila euro a titolo di spese che Massimiliano Sestito rivendicava dai gruppi operanti sul territorio in relazione al fatto che, durante la carcerazione, era stato «sostanzialmente abbandonato dalle famiglie». Lo strappo con gli Iozzo avviene anche da un punto di vista “rituale”. Quando Sestito viene arrestato per l’omicidio di Lio, nel carcere di Catanzaro riceve la Santa. Si sparge presto la voce della carica ricevuta. I fratelli Iozzo lo vengono e sapere e si prodigano per capire se Massimiliano Sestito li avesse messi in copiata ma ricevono risposta negativa, loro che lo avevano battezzato e gli avevano dato tre cariche in un’unica soluzione. Uno sgarro che porta a una frattura definitiva. Cretarola apprende da Sestito che negli anni della detenzione quest’ultimo vede crescere il proprio carisma ‘ndranghetistico. Riceve la Santa e anche il Vangelo. E intanto anche suo fratello Davide cresce e «vuole anche lui intraprendere la carriera delinquenziale tracciata dal fratello – racconta Cretarola -. Massimiliano fa battezzare Davide da Procopio Lentini» nel giorno in cui Lentini fa battezzare suo figlio Agostino. Si crea così un nuovo gruppo che si contrappone agli Iozzo-Chiefari «che avevano interessi a Gagliato perché c’era la trasversale delle Serre che passava proprio là e quindi c’erano un sacco di appalti da poter vincere». Gli attriti tra i vari gruppi criminali del Soveratese portano a una riunione nel corso della quale Massimiliano Sestito manda il suo messaggio: vuole 20 mila euro per la carcerazione subìta. Il suo proposito è quello di rivendicare Gagliato come paese della famiglia Sestito, con Massimiliano capo società, Cretarola contabile e Davide Sestito mastro di giornata come capo crimine.



L’APPOGGIO DI DAMIANO VALLELUNGA E LA SANGUINOSA FAIDA Il locale di appartenenza, nel territorio conteso, era Serra san Bruno, capeggiato da Damiano Vallelunga che era il capo locale di tutto il Soveratese. Cretarola racconta che Vallelunga «aveva riconosciuto che il paese di Gagliato era per diritto di Massimiliano Sestito perché in primis ‘ndranghetista operante per la famiglia Iozzo quindi a tutti gli effetti riconosciuto ‘ndranghetista anche durante tutta la carcerazione…». 
Ma gli Iozzo e i Chiefari “mangiavano” a Gagliato. Vallelunga però decide, come regola sociale, che «quel paese è di Massimiliano Sestito e quindi loro se vogliono lavorare lì devono riconoscere qualcosa economicamente a Sestito oppure se ne devono andare». E con Damiano Vallelunga ci sono Vittorio Sia, capo ‘ndrina di Soverato e il territorio di San Sostene, con i Lentini e i Procopio. Vellelunga avrebbe detto, rivolto ai Iozzo-Chiefari: «Il primo che ha trascurato nei confronti di Sestito sono stato io perché in questi anni di galera non l’abbiamo mai aiutato, il paese è suo e tirategli fuori i mezzi. I mezzi di lavoro tirateli fuori dal paese, non lavorate più». In sostegno delle parole di Vallelonga, Fiorito Procopio, di tasca sua, mandò 10 mila euro a Massimiliano Sestito, ricorda Cretarola. 
È con queste premesse, con questi gruppi schierati che riprende la faida dei boschi, con la contesa del paesino di Gagliato e degli appalti che portava in dote grazie alla trasversale delle Serre. La lunga scia di sangue, che si protrarrà per oltre tre anni, ha queste premesse e la miccia, racconta Gianni Cretarola, viene accesa da quella richiesta di 20 mila euro, quella “rivendicazione” accolta dai rivali come la più grande delle offese.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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