REGGIO CALABRIA Una cerimonia commemorativa, lì dove i proiettili hanno interrotto la loro vita, e una funzione religiosa alla presenza delle massime autorità della provincia. Così il comando provinciale dei carabinieri ha voluto ricordare i brigadieri Vincenzo Garofalo e Antonino Fava, uccisi a 31 e 36 anni, il 18 gennaio del 1994, nei pressi dello svincolo di Scilla. Un delitto solo in parte ricostruito con il processo che ha visto fra gli imputati Consolato Villani, nipote di Pietro Lo Giudice, all’epoca minorenne. Giudicato dal Tribunale dei minori, sarà l’unico – assieme a Giuseppe Calabrò, inizialmente pentito, poi pentito di averlo fatto – a essere condannato. Per i giudici Calabrò e Villani sono i responsabili di quelle azioni di fuoco, servite per sfuggire ai controlli che avrebbero svelato un importante traffico di armi e di droga. Una ricostruzione che polverizza le prime ipotesi – sussurrate a mezza bocca in Procura e filtrate sulla stampa locale e non – che leggevano negli attentati un tentativo di intimidire lo Stato e fanno transitare in un comodo dimenticatoio quella telefonata anonima arrivata in quel periodo all’hotel Palace di Reggio, che all’epoca ospitava la sede del Comando intermedio di rappresentanza dei carabinieri, che prometteva: «Questo non è che l’inizio di una strategia del terrore». Nel tempo però, diversi elementi – dalle dichiarazioni del 2009 di Salvatore Spatuzza, a quelle recentissime dei pentiti Nino Lo Giudice e Consolato Villani, raccolte dal sostituto della Dna Gianfranco Donadio – hanno indotto i magistrati a pensare che su quel duplice omicidio c’è ancora molto da scoprire e da raccontare. E sull’episodio le indagini sono ancora in corso.
a. c.
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