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SOLDI SPORCHI | A Cosenza garantisce «zio Francesco»

COSENZA L’accordo su piazza Bilotti era stato siglato dall’«amico qua» e da «zio Francesco». Nessuno poteva alzare la voce con Giorgio Barbieri, nessuno poteva avvicinarsi per chiedere il pizzo. So…

Pubblicato il: 19/01/2017 – 17:47
SOLDI SPORCHI | A Cosenza garantisce «zio Francesco»

COSENZA L’accordo su piazza Bilotti era stato siglato dall’«amico qua» e da «zio Francesco». Nessuno poteva alzare la voce con Giorgio Barbieri, nessuno poteva avvicinarsi per chiedere il pizzo. Sono due collaboratori dell’imprenditore cosentino a ricordarlo nei giorni tesi seguiti a una richiesta estorsiva: il patto «glielo aveva fatto l’amico qua con zio Francesco, che non si doveva prendere più niente nessuno». Passiamo alle presentazioni: l’«amico qua» è Francesco Patitucci, reggente del clan Lanzino durante la latitanza del boss Ettore, e «zio Francesco» è Franco Muto, il re del pesce, anziano e potente capoclan di Cetraro. I cosentini che hanno chiesto il pizzo all’imprenditore, invece, sono dei «cani sciolti», gente che non sa in che guaio si sta ficcando.
Questa conversazione captata nell’agosto 2016 è considerata dai pm della Dda di Catanzaro «importantissima ed estremamente significativa» perché da essa «emerge come Barbieri si sia messo allo stesso tavolo con Muto, Patitucci e Morabito (il “facilitatore” delle cosche della Piana di Gioia Tauro, ndr)». Lo yuppie 2.0 con la casa nel centro della Capitale, il costruttore di successo che ha fatto razzia di appalti negli ultimi dieci anni, è messo sullo stesso piano di due boss. Per dirla con Vincenzo Luberto, sostituto procuratore della Dda di Catanzaro: «Piazza Bilotti, Lorica, l’aeroporto di Scalea. Per l’aggiudicazione di questi appalti non ci sono state contese, l’unica impresa che partecipa è quella di Barbieri, dunque dei Muto». Gli appalti più importanti della (fu) Cosenza felix sono finiti in mano alla ‘ndrangheta.
Per questi lavori – i virgolettati arrivano dal decreto di fermo emesso dalla Dda di Catanzaro – Barbieri «sembra rivolgersi alla cosca Muto», anche se si svolgono «in territorio al di fuori del diretto controllo ‘ndranghetistico dei Muto», cioè a Cosenza, dove la mala locale è – in quel particolare momento storico – priva delle sue figure di maggior peso criminale. Barbieri, però, secondo l’accusa, non è la classica vittima del clan. La cosca si relaziona con lui e con le sue aziende «in maniera completamente diversa rispetto agli altri suoi interlocutori, quali i pescatori e i rivenditori: è sorprendentemente inquietante come la società che gestisce l’Hotel delle Stelle (la struttura alberghiera di Sangineto, ndr) benefici nelle forniture del pescato da parte della cosca Muto di scontistica e di tempistica di pagamento a nessun altro imprenditore o azienda praticati». Non vittima, dunque, ma partecipe. E la prova starebbe nella gestione di altre attività: la discoteca “Il Castello”, ad esempio, in cui il genero di Franco Muto, Andrea Orsino, «interviene addirittura per garantire da parte di terzo soggetto, pure si vedrà riferibile in qualche modo alla medesima cosca, il pagamento di un canone di locazione nella misura voluta dalla proprietà, appunto la famiglia Barbieri». Muto, in questo caso, si comporta come un socio di Barbieri. Secondo la Guardia di Finanza, c’è una «consolidata interazione sinergica tra l’imprenditore e la cosca di ‘ndrangheta». È una sinergia che porta un flusso costante di denaro nella bacinella del clan. Succede attraverso l’uomo di fiducia di Barbieri, Massimo Longo. È lui a incontrare gli uomini di Muto all’inizio di ogni mese. Quegli incontri, per gli inquirenti, «erano finalizzati alla consegna di somme di danaro, verosimilmente 11mila euro». Perché tutto ruota attorno ai soldi e alla protezione. E dove non si scomoda «zio Francesco» arrivano gli intermediari delle cosche della Piana.
Ancora una telefonata intercettata. Ancora piazza Bilotti. Il Gruppo Barbieri si trova in brutte acque. E il factotum dell’imprenditore spiega in un dialetto che non lascia spazio a incomprensioni: «Nue in questo momento soltanto loro ni ponnu salvare. (…) A ‘ndra… e basta». Per i pm di Catanzaro non serve finire la frase.

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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