COSENZA Franco Muto – noto come il “re del pesce” di Cetraro – avrebbe esercitato una “tutela” sull’imprenditore Barbieri. Il presunto boss del Tirreno avrebbe fatto in modo che le pretese estorsive dei clan cosentini fossero neutralizzate nei confronti di imprenditori a lui vicini. Così che il clan Bruni-Zingari viene tenuto fuori dall’affaire Piazza Bilotti. Lo racconta ai magistrati della Dda di Catanzaro il pentito Daniele Lamanna, le cui dichiarazioni sono finite nelle pagine dell’inchiesta che ha portato alla maxi operazione delle Procure di Catanzaro e Reggio contro gli imprenditori in affari con le cosche. Nella quale è finito anche l’imprenditore Giorgio Barbieri, imprenditore che si è aggiudicato l’appalto di importanti lavori nel Cosentino, come la storica piazza Fera della città dei Bruzi poi rinominata piazza Bilotti, l’aviosuperficie di Scalea e il complesso sportivo e sciistico di Lorica.
Ecco che cosa racconta Lamanna: «Immediatamente dopo l’inizio dei lavori (di Piazza Bilotti, ndr), nel 2013, sono andato a parlare con Rinaldo Gentile che era il capo libero degli italiani. Eravamo in un regime per il quale vi era un controllo ‘ndranghetistico esercitato dal gruppo degli italiani, da quello zingaro e dal gruppo Perna. Nel 2013, c’era libero Maurizio Rango in rappresentanza degli zingari, Alfonsino Falbo per quanto concerne il gruppo Perna e per l’appunto Rinaldo Gentile per quanto concerne gli italiani, mentre Roberto Porcaro era agli arresti domiciliari». Il collaboratore spiega le gerarchie e le alleanze: «Rango aveva un grado superiore al mio, già in passato aveva avuto screzi con Rinaldo Gentile per cui, nel tentativo di mediare, presi l’iniziativa di contattare personalmente Rinaldo Gentile. Incontrai Rinaldo Gentile mi disse che non era riuscito a trovare il modo di contattare un rappresentante dell’impresa appaltatrice. Non feci domande e relazionai a Rango che confermò una scarsa disponibilità degli italiani a farci entrare nella gestione delle estorsioni più importanti. Sempre al fine di avere notizie in relazione a Piazza Bilotti, nel medesimo periodo, parlai con Alfonsino Falbo il quale mi disse che non aveva notizie e si ripromise di parlare, a sua volta, con Rinaldo Gentile. Da quest’ultimo ebbi modo di sapere che aveva detto a Falbo le stesse cose che aveva riferito e me e cioè le difficoltà a trovare un aggancio con la ditta appaltatrice».
PIAZZA BILOTTI “OFF LIMITS” PER IL CLAN BRUNI-ZINGARI Il clan degli italiani – secondo il racconto di Lamanna – non voleva fare entrare il gruppo Bruni-Zingari nei lavori di Piazza Bilotti. E nello specifico spiega perché sono stati tenuti fuori: «Nel 2014, parlai di Piazza Bilotti anche con Mario Gatto, poco prima della mia rottura con gli italiani e con gli stessi zingari, e Mario Gatto mi disse che in relazione a Piazza Bilotti, così come relativamente anche ad altri appalti, aveva avuto la sensazione che ognuno stava perseguendo propri interessi. Il fatto che noi del gruppo Bruni-Zingari fossimo stati tenuti fuori dalla gestione dell’estorsione a Piazza Bilotti in verità si spiega con tutta una serie di accadimenti che portano nell’aprile-maggio del 2014 alla rottura degli accordi di confederazione. Per come ho già riferito fui io per conto dei Bruni e degli Zingari, unitamente a Michele Bruni, a siglare l’accordo per la costituzione di un’unica bacinella. Avemmo più incontri con Ettore Lanzino, Franco Presta, Renato Piromallo, Francesco Patitucci, Umberto Di Puppo. Non a tutti gli incontri hanno partecipato tutte queste persone. Ricordo di avere visto Ettore Lanzino e Franco Presta solo in una occasione; comunque quello che mI interessa ribadire è che sono stato io, insieme a Michele Bruni, a sedermi a tavola secondo la regola del cd. circolo riunito. Pertanto morto Michele Bruni ero io a dovere garantire questo patto. Nel corso degli anni ho potuto verificare direttamente una serie di violazione degli accordi. Franco Bruzzese prima, nel corso del 2011, Luigi Abbruzzese e Filippo Solimando dopo, facevano arrivare a Cosenza “sottobanco” eroina e altro stupefacente in violazione degli accordi che prevedevano che tutti gli introiti del traffico di stupefacente dovessero confluire in bacinella per essere spartiti. Gli italiani, dal canto loro, si ingerivano nelle estorsioni nel senso che è capitato più volte che andassimo a chiedere il “pizzo” a qualcuno che opponeva di essere amico di uomini di rispetto. Per esempio, nel corso del 2012, era accaduto che Foggetti aveva litigato con parenti di Piromallo; invero Attilio Chianello e Gennaro Presta si erano presentati, con pretesa di gestirlo, al parcheggio di una discoteca litigando con parenti di Renato Piromallo. Nel corso del 2013, a fronte di una richiesta di denaro a titolo estorsivo a un architetto si era inserito Rinaldo Gentile che era stato fronteggiato in malo modo da Maurizio Rango».
«LA GUERRA ERA IMMINENTE» La situazione degenera per “l’amministrazione” delle estorsioni e viene fuori che non «è possibile gestire una bacinella comune». Lamanna parlando con i magistrati è diretto: «Ognuno di noi aveva chiaro che era imminente una guerra. Per quel che mi risulta gli Zingari, dopo questa rottura, iniziarono a effettuare richieste estorsive ancora più pressanti compulsando persino coloro i quali vendevano panini allo stadio oppure i parcheggiatori abusivi al centro storico di Cosenza. Avevo conferma del fatto che la situazione stava precipitando e penso che soltanto l’operazione Rango-Zingari ha scongiurato una nuova guerra. Malgrado i tentativi di contattarmi di Maurizio Rango sono rimasto defilato salvo poi allontanarmi da Cosenza per la Toscana nel luglio del 2014. Un contegno analogo al mio è stato tenuto da Luciano Impieri il quale mi aveva sempre detto che ero pazzo a considerare non adeguato Maurizio Rango ma ha finito per darmi ragione nel corso del 2014 poco prima della rottura della bacinella quando mi raccontò della pretesa di Maurizio Rango di fargli chiedere denaro a titolo estorsivo in danno del proprietario di un’impresa di pompe funebri a via Popilia. Questo accadimento è importante perché, fin dal 2012, questo gestore dell’agenzia di pompe funebri era tra coloro i quali volevamo “mettere sotto estorsione” ma era intervenuto Franco Muto dicendo che era compare di un suo uomo di Milano e lo stesso gestiva, assieme a Franco Muto, un vasto giro di usura. Pertanto Impieri riceveva ordine di contravvenire agli interessi di Franco Muto e peraltro avrebbe dovuto portare l’estorsione da solo. Per questa ragione Impieri mi seguì nello staccarsi dagli Zingari».
L’INTERVENTO DI FRANCO MUTO Ma i clan cosentini dovevano sottostare al volere del “re del pesce”. Lo conferma anche Lamanna: «Era normale che Franco Muto poteva stoppare una pretesa estorsiva spiegando che la pretesa gli avrebbe cagionato un danno. Seppi questa storia del titolare delle pompe funebri per il tramite di Rinaldo Gentile che mi riferì dei desiderata di Franco Muto. Queste mie valutazioni circa l’inadeguatezza degli Zingari e la consapevolezza che l’accordo con gli italiani non sarebbe stato duraturo mi portarono nel corso del 2012 a rifiutare il grado di trequartino che mi era stato offerto da Franco Bruzzese e da mio fratello a nome della confederazione. Preferii rimanere sgarrista e in buona sostanza accettai che fosse elevato al merito più alto tra gli appartenente alla cosca zingara Maurizio Rango che successivamente seppi ebbe il Vangelo da persone che non ho mai saputo».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
x
x