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SOLDI SPORCHI | Barbieri resta in carcere

ROMA Rimane in carcere l’imprenditore Giorgio Barbieri, capo della omonima holding calabro-laziale, considerato dagli inquirenti la testa di ponte del clan Muto nel mondo degli appalti. Il gip di R…

Pubblicato il: 23/01/2017 – 13:35
SOLDI SPORCHI | Barbieri resta in carcere

ROMA Rimane in carcere l’imprenditore Giorgio Barbieri, capo della omonima holding calabro-laziale, considerato dagli inquirenti la testa di ponte del clan Muto nel mondo degli appalti. Il gip di Roma ha infatti considerato valido e fondato il quadro accusatorio costruito dalle Dda di Reggio Calabria e Catanzaro, confermando la misura cautelare a carico dell’imprenditore. Insieme a lui rimangono in carcere anche il suo ex socio Carlo Cittadini, Cristiano Zuliani, considerato il successore di Morabito nel delicato compito di occultamento della presenza dei clan tramite il sistema delle procure speciali, e Mirko Pellegrini. Per tutti quanti sono stati convalidati tanto il fermo, come la misura cautelare.
Una decisione che conferma il quadro accusatorio, al pari di quella del gip calabrese che ha valutato la posizione di Massimo Longo, braccio destro di Barbieri, considerato elemento di collegamento con il clan Muto. Nella giornata di ieri poi sono arrivate conferme della misura cautelare per tutti gli altri indagati della Dda di Catanzaro, inclusa la moglie del boss Francesco Muto, Angelina Corsanto. Solo due persone, Maria Vittoria Plastina ed Emilio Cipolla, che non rispondevano del reato associativo, sono stati scarcerati. Passa la prova del gip anche il filone reggino dell’inchiesta. Sebbene per loro non sia stato convalidato il fermo, rimangono comunque in carcere per decisione dei gip di Palmi Carlo Alberto Indellicati, Massimo Minniti e Paolo Ramondino, tutti gli esponenti del gruppo Bagalà, considerati al servizio del clan Piromalli – Luigi Bagalà, Giuseppe Bagalà, Francesco Bagalà (classe 1977), Francesco Bagalà (classe 1990) – i funzionari corrotti del Comune di Gioia Tauro, Pasquale Rocco Nicoletta e Angela Nicoletta, così come Giorgio Morabito, ufficialmente procuratore del gruppo Bagalà, in realtà testa di ponte dei Piromalli, che ha permesso al clan della Piana di accaparrarsi lavori anche al centro di Cosenza. Ai domiciliari sono invece finiti Domenico Coppola, Vito La Greco, Angelo Zurzolo, Rocco Leva, Gaspare Castiglione, Santo Fedele, Francesco Fedele e Bruno Polifroni. In mattinata, sono state comunicate anche le decisioni assunte dai gip di Palermo, Agrigento e Locri, chiamati a decidere sulle posizioni degli indagati arrestati in quelle province. In Sicilia, uno rimane in carcere e due sono stati spediti ai domiciliari, mentre a Locri sono stati scarcerati due funzionari della Soa arrestati per mancanza di esigenze cautelari. Medesima decisione ha assunto il gip di Velletri. In sintesi, dei 27 fermati per ordine della Dda reggina, 13 rimangono in carcere, 11 vanno ai domiciliari e solo 3 sono stati scarcerati.
Numeri che confermano la solidità dell’impianto accusatorio dei due filoni dell’inchiesta. Al centro delle indagini delle Dda di Reggio e Catanzaro, l’attività di due gruppi imprenditoriali, i Bagalà di Gioia Tauro, espressione del potentissimo clan Piromalli, e il cosentino Barbieri, legato ai Muto di Cetraro. Forti entrambi della protezione di un potente casato di ‘ndrangheta, i due gruppi imprenditoriali non solo hanno più volte lavorato insieme – i Barbieri hanno lavorato al waterfront di Gioia Tauro, i Bagalà a piazza Bilotti a Cosenza – ma hanno mostrato di avere metodi speculari e ugualmente illeciti per accaparrarsi gli appalti pubblici per centinaia di milioni di euro. A Gioia Tauro il clan Piromalli ha scelto i Bagalà per mettere le mani su strade, ristrutturazioni e nuove infrastrutture, finanziate con denaro pubblico. Grazie ad un complesso sistema di inquinamento delle gare, che contava sulla collaborazione di circa 60 società, erano sempre loro ad accaparrarsi gare e lavori. Fra le società coinvolte dai Bagalà c’erano anche quelle del gruppo Barbieri, espressione – hanno ipotizzato gli inquirenti e confermato i giudici – del clan Muto di Cetraro.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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