Apprendiamo con disappunto dalla stampa di una singolare marcia indietro da parte dell’amministrazione regionale sul rinnovo dell’Organismo Indipendente di Valutazione della Regione Calabria, uno tra i pochi, per chi non lo sapesse, a imporre espressamente la rappresentanza di entrambi i generi al suo interno, così come previsto dalla l. r. 3/12. così Nessuna novità, purtroppo. Già sotto la precedente amministrazione, tutti i membri erano uomini.
Oggi, al momento del rinnovo dell’organismo, le procedure selettive indette per la scelta dei componenti esterni ed interni designano due uomini per i componenti esterni e una donna per quello interno. Dopo nemmeno 10 giorni, la componente interna, a seguito di rinuncia, è stata sostituita da un componente uomo, l’unico ad essersi collocato nella graduatoria interna in posizione utile alla surroga, senza tenere in alcun conto l’obbligo all’equilibrio di genere imposto dalla disciplina che istituisce questo importante organismo di vigilanza. Sia la legge regionale 3/12, all’articolo 11, sia il relativo regolamento di funzionamento, agli articoli 31-32, richiamano il disposto della rappresentanza di genere in modo assiomatico: «L’organismo regionale indipendente di valutazione presso la giunta regionale, [è] composto da tre membri, di entrambi i generi, di cui almeno uno esterno all’amministrazione regionale, scelto tra esperti in materia di management ed organizzazione dell’amministrazione pubblica e gli altri scelti anche tra soggetti interni, in possesso di un’adeguata esperienza nella predetta materia, maturata anche nell’ambito dell’amministrazione regionale».
Tocca, quindi, ricordare l’impraticabilità di una simile composizione, che non solo viene a ledere il principio delle pari opportunità sancito a tutti i livelli normativi, traducendosi in una odiosa forma di discriminazione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale, ma soprattutto appare ancora più ingiustificata alla luce della considerazione per cui la nomina di almeno un componente per genere non può essere in alcun modo derogata dalla eventuale assenza di candidati in una delle categorie selezionate. Tanto più che, in questo caso, l’organismo non si era ancora neppure insediato, obbligando la Regione alla ripetizione della procedura.
Nessun dubbio sulla professionalità dei componenti nominati, eppure, appare francamente impossibile credere che dalle selezioni non siano emerse candidature femminili idonee, ulteriori a quella della componente designata e poi surrogata, perché, se così fosse, non sarebbe che l’ennesima conferma della esistenza del “tetto di cristallo” che impedisce alle donne il raggiungimento delle cariche più elevate. Se non si sono registrate candidature femminili in numero sufficiente, anche provenienti dall’esterno, se ne deve dedurre che è mancata una adeguata diffusione della selezione stessa. Non è tollerabile questo ennesimo attacco alla parità di accesso alle mansioni lavorative più elevate, specie se compiuta da una pubblica amministrazione che, tra i propri doveri istituzionali, la garanzia delle pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro ed il trattamento sul lavoro, in un momento in cui la presenza delle donne, sotto il profilo occupazionale, appare schiacciata tra i ruoli tradizionali di accudimento e l’ambizione alla realizzazione professionale, nella cronica carenza di strumenti di conciliazione e di seria eliminazione del divario di genere nel mondo del lavoro.
L’amministrazione deve impegnarsi, può impegnarsi, e fare meglio di così. Se davvero vi è stata una discriminazione, deve essere rimossa e corretta prima possibile dagli enti competenti, affinché non passi il messaggio di un’amministrazione che tutela le donne solo a parole, per poi “dimenticarsene” nei fatti.
Presidente, la invitiamo ad agire subito!
x
x