REGGIO CALABRIA Fiducia nel lavoro fatto e consapevolezza dei grandi sforzi ancora da fare. Rabbia per la manifesta insufficienza di uomini e mezzi rispetto al fenomeno da affrontare, orgoglio per i risultati in ogni caso raggiunti. La solitudine provocata dal perdurante distacco con cui i più guardano alla battaglia contro la ‘ndrangheta e piccoli segnali di cambiamento nel rapporto fra cittadini e istituzioni. È al contempo un grido di dolore e un inno alla speranza quello con cui i magistrati reggini hanno aperto il nuovo anno giudiziario nella provincia che ospita la capitale della ‘ndrangheta.
‘NDRANGHETA PRIORITA’ NAZIONALE Forse per questo, i grandi temi del bisticcio fra toghe e governo rimangono al margine di una discussione a più voci su una necessità strategica: attaccare in modo frontale e definitivo i clan. «Questa è una battaglia nazionale» ha detto il ministro dell’Interno, Marco Minniti, oggi a Reggio Calabria «per dare un segnale forte: sconfiggere la ‘ndrangheta è una priorità strategica nazionale». Parole che danno speranza all’esercito di toghe e non solo riunito nell’aula magna della scuola allievi carabinieri di Reggio Calabria, che può affacciarsi all’anno che verrà con una consapevolezza: tanto il Csm, come il governo sembrano aver compreso che non si può svuotare il mare con il cucchiaino.
FORZE IN ARRIVO, MA NE SERVONO DI PIU’ Traduzione, nonostante gli innegabili successi raggiunti dai tribunali del distretto, sono necessarie ed urgenti forze nuove, finanziamenti che emancipino gli operatori dal lavoro in condizioni proibitive, ma anche sforzi – economici e no – per bonificare la società dall’habitus all’illegalità che la ‘ndrangheta ha generato. Le misure adottate tanto dal Csm, come dal ministero della Giustizia, per colmare i vuoti in pianta organica e ampliarla sono un segnale positivo, ma non ancora sufficiente.
I NUMERI DELLA CRISI I numeri parlano chiaro. Nel distretto di Reggio servono giudici e servono adesso. La Corte d’appello ha 4 posti vacanti, tra cui quello di Presidente della sezione lavoro ed uno di magistrato distrettuale; il Tribunale di Reggio Calabria accusa la mancanza di 9 magistrati, oltre ai 9 posti in ampliamento di organico, il tribunale di Palmi vanta 5 posti vuoti, fra cui quello del Presidente, il Tribunale di Locri, lamenta la mancanza di 10 giudici e il tribunale dei minorenni di due toghe. Assenze che pesano, anche se a soffrire di più sono gli organi giudicanti di primo grado. «Nella sofferenza di tutti gli uffici del distretto – ha spiegato il presidente della Corte d’appello, Luciano Gerardis -, qualcuno vive poi una situazione di particolare emergenza.
ALLARME GIUDICANTI È il caso del tribunale di Reggio Calabria che danni sconta un insostenibile rapporto fra il suo organico e quelli della corrispondente Procura, pari a 1,66, cui solo negli ultimi mesi si è tentato di porre riparo. Ad essere sproporzionato – ha concluso – non è l’ufficio requirente, che anzi avrebbe bisogno di ulteriori rinforzi, ma l’organo giudicante che segnatamente nelle sezioni gip-gup e dibattimentale presenta ritmi di lavoro al limite della insostenibilità».
CARICO DI LAVORO INGESTIBILE Bastano un po’ di numeri per comprendere la situazione: 7 magistrati della sezione penale devono affrontare 256 procedimenti con rito collegiale, di cui 34 di competenza della Dda, 7312 procedimenti monocratici, coadiuvati solo parzialmente dai Got, oltre a pronunziare provvedimenti di convalida in procedimenti con rito direttissimo, 274 solo nell’ultimo anno. In più, ci sono richieste di custodia cautelare pendenti per quasi 700 persone. Risultato, chi può scappa, chi dovrebbe arrivare, non si fa tentare neanche dagli incentivi economici. Una situazione di sofferenza che tanto Luca Palamara, a Reggio come delegato del Csm, tanto il sottosegretario della Giustizia, Gennaro Migliore, sembrano aver recepito, tanto da assicurare interventi quanto meno per puntellare le scoperture d’organico. Necessari e urgenti.
PARADOSSO Anche perché – spiega Gerardis – «si viene a creare una situazione paradossale. Proprio nel territorio che avrebbe maggiore necessità di affermare la presenza dello Stato e di garantire i diritti dei singoli, per elevare la bassa qualità della vita e contrapporre l’affermazione della legge all’arbitrio anche ‘ndranghetista, maggiori sono i ritardi e le carenze dell’azione giudiziaria. E invece che dimostrare al cittadino, storicamente diffidente nei confronti dei pubblici poteri l’erroneità di tale atteggiamento, se ne rafforza il convincimento nell’inefficienza dello Stato».
IL SEGNO DEL DOMINIO Decenni di dominio della ‘ndrangheta hanno lasciato il segno anche sulla società, sul modo di pensare dei cittadini e questo – afferma il presidente della Corte d’appello – «da un lato ha notevolmente accentuato la propensione a delinquere, dall’altro ha ostacolato sensibilmente il crescere di una cultura della legalità, la consapevolezza dei diritti, la volontà di esercitarli in concreto. Si è scambiato il diritto con il facore, si sono cercate vie traverse, se non sempre illegali per realizzare i propri obiettivi, si è sostituita l’indignazione per l’illecito accomodamento, spesso si sono messi da parte i diritti per non turbare contrapposte posizioni più “potenti”».
LA REPUBBLICA DEL FAVORE Il risultato è sconfortante. Per Gerardis, «ne è venuta fuori una società molle, per nulla reattiva, poco propensa a porre argine non soltanto al predominio ‘ndranghetista ma alla diffusa illegalità quotidiana, che deprime la qualità della vita, quasi indolente e rassegnata ad adagiarsi su prassi quantomeno discutibili. In questo contesto, tutto assume una valenza peculiare, e la non tempestiva risposta dello Stato acquista significati più gravi e pesanti».
MINACCIA INTERNAZIONALE Ecco perché – spiega il presidente Gerardis – è importante dare risposte e mettere in primo luogo i magistrati in condizioni di farlo. Necessità recepite dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, che sul punto è stato chiaro «qui come a Catanzaro, si gioca una partita strategica per tutto il Paese, perché in Calabria la ‘ndrangheta ha capacità di controllo del territorio, ma rappresenta una minaccia nazionale e internazionale». Due sono gli obiettivi principali cui deve tendere l’azione di contrasto: «Agire sui capitali mafiosi e sui centri di comando per colpire la ‘ndrangheta al cuore».
LA LOTTA AI CLAN CONVIENE Ma la battaglia, per il ministro non si gioca solo sul piano della repressione. Alla gente bisogna far capire che la lotta alla ‘ndrangheta conviene, «bisogna dimostrare alla gente che il contrasto si accompagna alla liberazione di risorse per la gente». Un richiamo non casuale. «Nei prossimi mesi – ha annunciato Minniti – arriveranno ingenti risorse per la Calabria, la vera sfida politica e culturale è assicurarsi che vadano alla gente. Se non costruiamo una rete, un filtro prima che i soldi finiscano nelle mani della ‘ndrangheta, anche se dopo li recuperiamo, si perderà un pezzettino di interesse collettivo. I controlli di legalità non sono una perdita di tempo. Mafia e corruzione sono reati diversi, ma una realtà corrotta è più permeabile alla criminalità organizzata».
ATTO D’AMORE Infine, Minniti ha voluto rivolgersi ai tanti studenti delle scuole superiori presenti oggi in aula magna. «Da fratello maggiore vi dico “non accettate mai chi vi dice di non parlare di ‘ndrangheta perché significa parlare male della nostra città”. Parlare di ‘ndrangheta per capire come meglio contrastarla è un atto d’amore nei confronti della nostra città».
ANCHE LA ‘NDRANGHETA MORIRA’ E il mostro – assicura – non è invincibile. «Mutuando le parole di Falcone, mi dico convinto che la ‘ndrangheta come tutti i fenomeni umani av
rà una fine. Anche perché la ndrangheta, le mafie non sono fenomeno che non si possa contenere – ha infine concluso -. Si può solo sconfiggere. E succederà».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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