COSENZA «Iannicelli è stato ammazzato per il traffico della droga e per altre cose che ha fatto. Poco prima di morire aveva detto di volersi pentire». Il collaboratore di giustizia Pasquale Perciaccante ha spiegato alla Corte di Assise di Cosenza perché Giuseppe Iannicelli è stato ammazzato assieme al nipotino Cocò Campolongo e alla sua compagna. Il bambino di soli tre anni è stato ucciso e bruciato in auto nel gennaio 2014, a Cassano allo Jonio, con il nonno Giuseppe Iannicelli e la compagna marocchina di questi Ibtissam Touss.
Mercoledì mattina, nell’aula della Corte di Assise di Cosenza, sono stati ascoltati tre collaboratori di giustizia (Pasquale Perciaccante, Antonio Forastefano e Domenico Falbo) sentiti come testimoni dell’accusa nel processo a carico di Cosimo Donato detto “Topo”, e Faustino Campilongo detto “Panzetta”. I due sono accusati di triplice omicidio. In particolare, secondo l’accusa contestata dalla Dda di Catanzaro, i due avrebbero attirato in una trappola Giuseppe Ianniccelli, per conto del quale spacciavano droga, perché divenuto un personaggio scomodo per la cosca degli Abbruzzese e anche per aumentare il proprio potere criminale. Il piccolo Cocò, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, sarebbe stato ucciso perché il nonno lo portava sempre con sé, come uno “scudo umano”, per dissuadere i malintenzionati dal colpirlo. Dopo il triplice omicidio, gli assassini bruciarono l’auto di Iannicelli con all’interno i tre corpi.
IL GIORNO DEI PENTITI I tre pentiti, mercoledì mattina, sono stati ascoltati come imputati di reato connesso e tutti e tre hanno deciso di rispondere alle domande di accusa e difesa. Forastefano era collegato in videoconferenza dalla località protetta alla presenza del suo avvocato Claudia Conidi. Perciaccante e Falbo erano presenti nell’aula della Corte di Assise di Cosenza, nascosti dietro al paravento e scortati dalle forze dell’ordine.
Perciaccante ha riferito alla Corte (presieduta dal giudice Giovanni Garofalo, a latere la collega Francesca De Vuono) di appartenere al «clan degli Zingari il cui capo era Francesco Abbruzzese detto Dentuzzo». «Iannicelli – ha detto il pentito rappresentato dall’avvocato Valeria Maffei (oggi sostituita dal collega Dionigi Tucci) – prendeva solo la droga e non poteva fare altro. Iannicelli venne però poi battezzato da Dentuzzo con il grado di sgarrista ma ciò venne fatto a trucco perché non lo volevano». A domanda del pm della Dda Saverio Vertuccio, il collaboratore ha precisato che «questo merito gli fu dato solo per tenerlo vicino perché sapevano che Iannicelli parlava troppo e volevano tenerlo sotto controllo. Dapprima Iannicelli prendeva la droga dagli Abbruzzese e poi dai Forastefano. Io lo venni a sapere e ne vennero a conoscenza anche gli Abbruzzese. Forastefano chiamò Iannicelli e gli disse che avrebbe dovuto prendere la droga da lui altrimenti avrebbe fatto la fine di Antonio Iannicelli».
PERCIACCANTE: SONO STATI GLI ZINGARI A COMMETTERE IL TRIPLICE OMICIDIO Perciaccante ha riferito di conoscere anche Battista Iannicelli, fratello di Giuseppe che gli disse «che quando andava a Lauropoli lo guardavano storto perché Giuseppe Iannicelli si riforniva dai Forastefano. Battista mi disse che gli Zingari l’avevano a morte con Giuseppe che loro chiamavano “infame”. Mi riferisco – ha specificato il collaboratore di giustizia ai giudici – a Rocco, Franco e Ciccio Abbruzzese. È stato sempre Battista a raccontarmi che gli Zingari ormai avevano il controllo di tutto. Battista mi parlò del triplice omicidio e mi disse che erano stati gli Zingari. Mi riferì inoltre che Giuseppe voleva pentirsi perché temeva per la propria vita. Mario Bevilacqua, Andrea Abbruzzese e Tommaso Iannicelli li ho incontrati in carcere a Catanzaro e mi dicevano che appena usciti avrebbero ammazzato Giuseppe Iannicelli perché aveva infamato Fiore Abbruzzese. Quando io chiedevo se fossero sicuri, Tommaso Iannicelli diceva che ci avrebbe pensato lui a uccidere Giuseppe. Battista Iannicelli mi disse che Giuseppe Iannicelli sarebbe stato preso mentre andava a Sibari proprio a un appuntamento in cui sarebbe stato ucciso. Iannicelli non riuscì ad arrivare a Sibari ed è stato ucciso sotto casa sua. Lui conosceva chi lo ha ucciso ed è stato attirato fuori con una chiamata telefonica. Ovviamente sul fatto che non arrivò a Sibari è una mia percezione che rappresentai anche a Battista Iannicelli». Perciaccante ha ribadito più volte che volevano «tenere fuori Iannicelli perché parlava troppo». «Non conosco – ha aggiunto – i due imputati ma so dove abitano». Rispondendo alle domande della difesa (gli avvocati Ettore Zagarese, Vittorio Franco) Perciaccante ha ricordato una riunione in carcere in cui «si è deciso di fare fuori Iannicelli: volevano ammazzarlo da tempo. Iannicelli non andava bene alla cosca degli Abbruzzese».
FORASTEFANO: IANNICELLI DOVEVA PRENDERE LA DROGA SOLO DA ME La Corte ha ascoltato, collegato in videoconferenza, il pentito Antonio Forastefano (al momento è fuori dal programma di protezione) che ha ribadito di «conoscere Peppe Iannicelli che faceva lo spacciatore e venne da me come rappresentante della cosca vincente per rifornirsi di droga. Lui prese un appuntamento con me. Ci incontrammo in un terreno con altre persone: era il 2002. Dopo l’appuntamento, Iannicelli prendeva da me eroina e cocaina, ma più eroina. Io all’epoca ero il vincente. Iannicelli si lamentava che gli Zingari gli facevano pagare la droga di più». Il collaboratore ha ribadito che lui era «il capo della cosca Forastefano». E ha aggiunto: «Feci venire Iannicelli quando ero latitante, cioè nel 2002. Ciò avvenne dopo l’omicidio di Edoardo Pepe. Nell’incontro chiarimmo che doveva prendere la droga solo da me. Siamo nel periodo compreso tra il 2003 e il 2004. Io trattavo con Iannicelli o con la moglie».
FALBO: CONOSCEVO IANNICELLI Infine è stato ascoltato, in aula, Domenico Falbo, difeso dall’avvocato Loredana Gemelli del foro di Torino. «Prima di collaborare con la giustizia – ha detto Falbo – appartenevo al clan Forastefano. E conoscevo Giuseppe Iannicelli. Lui a un certo punto si mette dalla parte degli Zingari. Dal 2007 ho deciso di collaborare e quindi non ho saputo più nulla. Iannicelli è stato sempre un fedelissimo degli Abbruzzese. Di Faustino Campilongo ne ho sentito parlare durante la detenzione. Alcune cose mi sono state riferite da un ragazzo che ho conosciuto in carcere».
Il processo è stato aggiornato al prossimo 20 febbraio.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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