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La "legge" dei Piromalli

REGGIO CALABRIA Hanno l’età per passare la maggior parte della giornata fra nipoti (eventuali) e passeggiate ai giardinetti, e se anche a loro si applicasse la legge Fornero, sarebbero da tempo in …

Pubblicato il: 01/02/2017 – 20:45
La "legge" dei Piromalli

REGGIO CALABRIA Hanno l’età per passare la maggior parte della giornata fra nipoti (eventuali) e passeggiate ai giardinetti, e se anche a loro si applicasse la legge Fornero, sarebbero da tempo in pensione. Ma Girolamo “Mommo” Mazzaferro e il fratello Teodoro, rispettivamente di 82 e 79 anni, hanno un’attività che non prevede collocamento a riposo. Con ruoli diversi, sono il cuore e la testa dei Piromalli sul territorio. E lo sono da decenni.

DUE FRATELLI, DUE DESTINI Il loro destino è stato segnato dall’inchiesta “Paolo De Stefano+ 59”, che ha rigidamente diviso i compiti dei due fratelli, senza modificarne la fedeltà alla “causa”. Graziato da un’assoluzione, per i magistrati della Dda di Reggio Calabria, “Toro” ha iniziato una lunga carriera prima da prestanome, quindi imprenditore, infine immobiliarista del clan Piromalli, per conto dei quali si è intestato terreni, società e aziende. Riconosciuto colpevole di associazione mafiosa in primo grado e assolto in appello, Mommo è rimasto comunque macchiato da quel procedimento. Per questo si è dovuto “accontentare” di ruoli operativi, finendo per diventare la voce del potente clan Piromalli sul territorio. Un ruolo divenuto ancor più importante negli ultimi anni, in cui la prudenza ha suggerito a Gioacchino (cl.34) e Antonio “Ninu u Catanisi” (cl.39) a ritirarsi – quanto meno apparentemente – in seconda linea.

«LO STATO SONO IO» A Gioia Tauro, don Mommo era l’amministratore di un regno che la ‘ndrangheta ha strappato allo Stato, arrogandosi il diritto di «fornire alla popolazione quei servizi che – in uno Stato di diritto e democratico – sono riservati agli organismi istituzionali». Era lui – sottolineano i magistrati negli atti del procedimento Provvidenza – l’uomo scelto dai Piromalli per amministrare «uno dei compiti fondamentali che i cittadini delegano allo Stato» e le ‘ndrine ambiscono a sottrarre: «l’attività giurisdizionale in senso ampio, la risoluzione dei privati conflitti e, più in generale, la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica».

LA LEGGE DEI PIROMALLI A Gioia Tauro, Mommo Mazzaferro era la legge, il giudice e il boia. E per assolvere a tali funzioni aveva anche un suo ufficio. Si tratta di una masseria, strategicamente collocata sull’unica altura della zona, circondata da campi e uliveti e con ben tre vie di fuga. Una roccaforte inviolabile, si gloriava don Mommo. Ma non per i Ros, che proprio lì sono riusciti a piazzare cimici e telecamere che hanno documentato la sua quotidiana “attività”.

VERTENZE E RICHIESTE Puntuale, ogni giorno l’ottantaduenne si recava di buon mattina in “ufficio” e riceveva con attenzione chiunque, affiliati e no, gli chiedesse udienza. Era a lui che ci si rivolgeva per il furto di un trattore come per un concorso scolastico, per una visita specialistica come per vedersi saldati stipendi arretrati. C’è stato anche – hanno scoperto gli investigatori – chi dal padrino si è presentato chiedendo informazioni sul nuovo fidanzatino della figlia. «Emblematico – sottolineano gli inquirenti – è che la preoccupazione consiste nel fatto che la ragazza possa essersi imbattuta in un “drogato”, non certo in un mafioso».

BARICENTRO ‘NDRANGHETISTA Sempre a lui si rivolgevano gli uomini dei Piromalli o dei clan della zona – gli Alvaro di Sinopoli, i Crea di Rizziconi, i Mammoliti di Castellace di Oppido Mamertina – per gestire o disinnescare conflitti, fare o ricevere ammenda per torti, o semplicemente curare i rapporti di buon vicinato. Da lui hanno bussato gli Alvaro per risolvere le controversie ereditarie che stavano dilaniando il clan, ma anche Carmelo Buggè, uomo del clan Giuffrè di Seminara, quando parte di uno dei suoi terreni viene utilizzato come discarica abusiva.

LE PREVISIONI DI DON MOMMO «Lungi dal rivolgersi alla autorità giudiziaria o alle forze di polizia ma conformemente alla mentalità mafiosa alla quale egli stesso ha dato prova di aderire, si rivolge allo “Stato parallelo” costituito, nel caso in esame, da Girolamo Mazzaferro – sottolineano gli inquirenti – Ed ancora una volta, il Mazzaferro si dimostrerà non solo disponibilissimo a risolvere il problema prospettato ma anche particolarmente addentrato alle dinamiche burocratiche del Comune ove il fondo medesimo si trova». A Buggè, don Mommo consiglia di pazientare perché quel terreno sarebbe stato di lì a poco espropriato. Una previsione che – ovviamente – si trasforma di lì a poco in realtà. Per gli inquirenti, questa non è che la prova di come Mazzaferro «possa contare su quel reticolo di soggetti inseriti nei gangli della pubblica amministrazione, che gli permettono di conoscere anche le dinamiche burocratico-amministrative in fase di svolgimento».

IL TESORO DEI CLAN Quale che fosse l’ambito, non c’era cosa che succedesse a Gioia Tauro e nel circondario, che don Mommo non sapesse, grazie ad una supervisione capillare delle attività lecite e illecite della Piana e non solo, come ad un asfissiante controllo del territorio, amministrato anche con mano durissima. Un «padrino d’altri tempi» – lo definiscono gli inquirenti – consapevole di avere in mano la gestione di uno dei beni più preziosi che un clan possa possedere, il consenso popolare. Un “tesoro” che la ‘ndrangheta – dimostrano le inchieste del passato recente e remoto – hanno sempre tutelato, perché direttamente proporzionale al potere criminale. E per questo, don Mommo, ascoltava con attenzione, rifletteva e prometteva una pronta soluzione che si impegnava a rendere concreta. E da lui, quasi in processione, si mettevano in coda non solo affiliati di diverso rango, ma anche normali cittadini di Gioia Tauro, ridotti al rango di grati servi della gleba alla corte del feudatario.

LA CORTE Attorno a don Mommo si muoveva una corte di funzionari – Girolamo Albanese, Giuseppe Accardo, Salvatore Algeri, Vincenzo Frisina, Nicola Scibilia, Antonio Zangari, Pasquale Guerrisi, Amedeo Fumo, Salvatore Trunfio, i fratelli Francesco e Giuseppe Trunfio, Antonino Arcuri e il fratelli Giuseppe e Domenico Barbaro – incaricati dell’ordinaria di far funzionare la filiera comunicativa che permetteva al padrino di essere così informato, ma anche di tenere al corrente il “board” dei Piromalli.

E I MINISTRI Ad aiutare il padrino invece – documenta l’indagine – erano solo due reggenti, il figlio Teodoro, vero e proprio alter ego di don Mommo, e un altro anziano, Paolo D’Elia, storico “paciere” di ‘ndrangheta, testa di ponte verso il vibonese e la sua massoneria, con agganci importanti anche all’interno di strategici uffici. Rapporti che hanno reso D’Elia un ingranaggio chiave nel meccanismo messo in piedi dai Piromalli per usurpare un’altra funzione allo Stato, l’avviamento al lavoro.

UFFICIO DI COLLOCAMENTO «È questo – ci tengono a sottolineare gli inquirenti – un settore assolutamente importante soprattutto in un territorio, quale quello calabrese e segnatamente della provincia di Reggio Calabria, che storicamente rappresenta la maglia nera nelle statistiche occupazionali nazionali ormai da anni». E per una ragione – spiegano – molto semplice. «È evidente, dunque, come in un territorio quale quello della provincia di Reggio Calabria poter esercitare concretamente il potere di avviare al lavoro singoli soggetti rappresenti un importantissimo snodo nella ricerca di quel consenso popolare che la ‘ndrangheta ha sempre ricercato».

UN POSTO A SCUOLA Se da don Mommo ci si recava per risolvere problemi di sicurezza pubblica o controversie provate, dal suo braccio destro D’Elia ci si metteva in coda per mendicare un lavoro, soprattutto in ambito scolastico. Sono innumerevoli gli episodi documentati dagli investigatori che per protagonista hanno questo o quel familiare di un’aspirante maestra, sorpreso a chiedere una mano all’an
ziano uomo di ‘ndrangheta. Che elargiva con magnanimità, grazie al consolidato rapporto con Vito Primerano, funzionario della sede vibonese dell’Ufficio scolastico regionale.

RECUPERO CREDITI Allo stesso modo – e sempre nella spasmodica ricerca di consenso popolare e persone da legare a doppio filo – D’Elia si è attivato in nome e per conto dei Piromalli in un altro settore, quello del recupero crediti. Un problema che ha riguardato anche un non meglio identificato calciatore del Sambiase cui la società doveva diversi stipendi, che alla corte di don Mommo ha mandato due amici per perorare la propria causa. Con successo. Della cosa – racconta D’Elia al suo fidato autista – si occuperanno lui e don Mommo insieme perché « la’ ho due o tre compari io, che sono brave persone, lui ha le sue conoscenze pure, vediamo che cosa possiamo fare, dice che… dice, dice che deve venire lui, di persona, ci tiene!».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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