Benvenuto Presidente.
Anzi, bentornato. Perché, da quando ha assunto sulle sue spalle il non facile fardello di incarnare l’unità della nazione ed esserne il primo magistrato, è la seconda volta che viene in Calabria, testimoniando affetto verso le sue genti e attenzione alle sue mille ambasce quotidiane.
Le faranno corte un sacco di autorità “civili, politiche, religiose e militari”. Alcune buone, altre assai meno.
Le parleranno di successi che qui nessuno ha visto e di una “ripartenza” che è già un imbroglio lessicale. Non le diranno tante altre cose. Siamo impertinenti, lo facciamo noi. Nelle ultime settimane la Corte Costituzionale ha dovuto intervenire per mettere fine ad un imbroglio in forza del quale il consiglio regionale della Calabria aveva impedito al candidato a presidente dell’opposizione di sedere nella massima assemblea della nostra regione, come accade in ogni altro consesso democratico. Come meravigliarsene se un terzo dei componenti di tale Consiglio è inquisito in vicende giudiziarie più o meno gravi?
Le diranno del “Patto per la Calabria” e di megainfrastrutture. La verità vede il fallimento di due aeroporti, uno già chiuso, e un porto, Gioia Tauro, la cui autority è affidata al capo dello studio legale dell’armatore che lo ha in gestione. L’Anas le dirà di miliardi di investimento ma le nasconderà che la A3 è stata riconsegnata incompleta: resta com’era quel tratto, a venti chilometri, da dove lei sarà ospite e dove sono morti i nostri giovani mentre tornavano da un incontro sportivo. Le nasconderanno che indagini hanno stabilito l’uso di cemento depotenziato per ricavarne tangenti. Proprio per questo, appena sabato è crollato un muro di contenimento nella tratta nuova della 106 tra Palizzi e Bova, così si ritorna sul vecchio tracciato perché il nuovo è crollato a pochi mesi dalla sua inaugurazione.
E fu per l’inaugurazione della Cittadella regionale che Lei fece in Calabria il suo primo viaggio da Presidente. Quella Cittadella rischia di diventare un tempio della illegalità, basta leggere le ultime cronache giudiziarie per averne contezza. E non appare migliore la sorte della location che oggi la ospita: una università lacerata e divisa che perde i pezzi migliori e perde i nostri giovani che emigrano, ormai, non solo per lavorare ma anche per studiare.
E troverà una Chiesa in movimento, tra la scomunica di Papa Francesco per gli uomini della ‘ndrangheta e gli inchini al boss perché la gente veda e sappia che il Papa torna a Roma, “loro” restano qui.
Le saranno attorno molte delle persone che hanno non poche responsabilità e non poche colpe con riferimento a tutto questo. Sappiamo bene che stringerà le loro mani e ricambierà i loro sorrisi, non può fare diversamente, perché il rispetto istituzionale è dovuto non già alle persone ma alle istituzioni che rappresentano. Sono loro i rappresentanti del popolo calabrese, non le ha scelte Lei. Il suffragio universale riserva molte amare sorprese. Almeno fin quando il voto non sarà veramente libero da bisogni e condizionamenti. Diceva uno dei pochi amministratori di cui questa terrà andrà sempre fiera, il compianto Italo Falcomatà, che il voto disgiunto è stato inventato a Reggio Calabria dove era possibile stimare una persona e votarne un’altra. Si vota per bisogno, la stima è un’altra cosa.
Tutto per via di quel maledetto bisogno. Il maledetto bisogno che qui si traduce nell’appartenenza a clan politici, logge massoniche, cosche di ‘ndrangheta, grumi burocratici. Il maledetto bisogno che qui si declina con una unica legge di un solo articolo: “Si voliti vui”. Già, se volete voi. Voi padrino, voi boss, voi politicante di lungo corso, voi detentore di un qualsivoglia potere in qualsivoglia ufficio pubblico. Se volete voi la gara la vince l’amico, il posto lo assegniamo al figlioccio, il bando si modifica, la multa si annulla, la graduatoria viene rimodulata, i pagamenti si velocizzano, le certificazioni arrivano prima ancora di farne domanda. Se volete voi si tagliano boschi interi, si costruisce sull’arenile, si progettano ospedali in zone a rischio idrogeologico. Se volete voi uno diventa dirigente pubblico anche se non è un pubblico dipendente.
Ognuno fa e lascia fare e se poi qualche compagno di cordata inciampa nella giustizia si fa finta di nulla. Giusto una pausa per ribadire “piena fiducia nell’azione della magistratura… pur restando convinti che, nei tre gradi di giudizio, egli saprà dimostrare la sua assoluta estraneità… ecc. ecc. ecc.”
Due settimane fa, signor Presidente, ben trentasette aziende sono state sequestrate: gestivano servizi per conto della ‘ndrangheta. A pochi chilometri, non più di dieci, da dove lei si troverà domani, la ‘ndrangheta avrebbe gestito il parcheggio pubblico più grande realizzato in Calabria in uno con una intera piazza. A quaranta chilometri, invece, avrebbe gestito una sciovia fatta con i fondi comunitari.
È tutto perso? No, ma la nostra generazione è una generazione di vinti che adesso è chiamata a recuperare dignità nell’unico modo in cui può farlo: mettersi da parte ed aiutare la crescita di quelle forze sane che pur abbiamo nelle nostre case, nelle nostre scuole, nei nostri atenei, nei nostri ospedali, nelle nostre caserme. Sono qui ma stentano a farsi largo. Lottando quotidianamente per resistere agli assalti di chi teme per la sua mediocrità e tenta in ogni modo di placcarne lo scatto.
Sono tanti, tantissimi. Migliori di noi. Motivati. Investigatori che rischiano la vita nella lotta al narcotraffico, sequestrando tonnellate di cocaina: un sacchetto vale venti anni del loro stipendio. Ma restano assolutamente incorruttibili.
Giovani ricercatori che resistono nei seminterrati e isolano molecole e proteine, mentre i baroni giostrano in uffici che sembrano superattici, alle prese con montagne di raccomandazioni da smazzare.
Cronisti di strada che tengono accese flebili luci in attesa che riflettori più potenti scaccino le tenebre da territori dove l’agibilità democratica è una chimera.
Docenti che ingaggiano quotidiani corpo a corpo contro regolamenti ottusi, social network devianti, disagi indicibili, aule fatiscenti. Senza perdere di vista la missione ed educativa affidata loro.
Imprenditori caparbi che sorridono, con disarmata ironia, davanti al politico che mette il cappello sul loro sudore non appena il New York Times inserisce le loro aziende tra le mete che meritano un volo transoceanico pur di essere visitate.
Piccoli amministratori che gettano il cuore oltre l’ostacolo tutti gli anni. Trecentosessantacinque volte all’anno. Uno di loro viene indicato, per le politiche dell’accoglienza, tra i 90 big del Mondo dalla rivista “Fortune”, poche settimane dopo viene spinto sull’orlo delle dimissioni da campagne mediatiche e calunnie ben veicolate.
È gente che oggi non sarà con lei ad Arcavacata ma sono i nostri eroi borghesi. Di loro questa Calabria è fiera, ed è fiera anche del suo Presidente della Repubblica che, diversamente da altri non predica cose diverse da quelle che ha praticato e pratica.
Benvenuto Presidente!
direttore@corrierecal.it
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