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La bomba ad orologeria dei debiti pubblici calabresi

Il grido di allarme, di ieri l’altro, del ministro Padoan che dichiara l’ineludibile impegno di abbassare sensibilmente il debito pubblico, pena un inarrestabile arretramento del Paese, suggerisce …

Pubblicato il: 09/02/2017 – 9:29
La bomba ad orologeria dei debiti pubblici calabresi

Il grido di allarme, di ieri l’altro, del ministro Padoan che dichiara l’ineludibile impegno di abbassare sensibilmente il debito pubblico, pena un inarrestabile arretramento del Paese, suggerisce di lavare i panni sporchi un po’ fuori di casa.
In Calabria, ove tutti i problemi vissuti negativamente altrove si accentuano, prima o poi scoppierà quello del debito pubblico territoriale non più controllabile, derivante dai bilanci della Regione, della Città metropolitana, delle Province, dei Comuni e di tutti gli enti ad essi connessi, ivi compreso il Servizio sanitario regionale, perennemente in coma.
Noi calabresi «galleggiamo» seduti su di una autentica bomba ad orologeria. Un’emergenza che c’è ma che facciamo di tutto per ignorare ad ogni livello, a cominciare dai decisori pubblici che arrivano addirittura a celarla dolosamente.
Un po’ come abbiamo fatto con:
– la sanità del 2009, quando ero solo io a gridare l’enormità del debito pregresso, poi da me rendicontato, con quattro ragazzini al seguito costati quattro soldi, come soggetto attuatore dell’allora commissario di protezione civile Spaziante;
– l’inquinamento marino, che ci ha impoveriti piuttosto che arricchiti;
– il dissesto idrogeologico, che minaccia mezza Calabria nell’incuranza generale;
– l’abusivismo edilizio che ha deturpato irrimediabilmente le nostre coste, e così via.
Insomma, Enti territoriali, nella quasi totalità, in default o quasi.
La Regione e i Comuni più grandi che si «dimenticano» addirittura delle loro partecipate, tanto da evitare di elaborare i bilanci consolidati, ai più sconosciuti nonostante il dovere legislativo. Il modo per non «contabilizzare» nei bilanci istituzionali le loro perdite prodotte negli anni per continuare ad esercitare quello strano «capitalismo istituzionale» a perdere – intendendo per tale la proprietà di aziende, nel caso di specie, dagli enti territoriali – tipico del nostro Paese. Ma anche il modo per incrementare (stupidamente) i propri disavanzi di amministrazione per centinaia di milioni, già travestiti da residui attivi a dir poco indecorosi.
Il tutto condito da una nonchalance generale, anche da parte di chi dovrebbe controllare e non lo fa.
Quindi, per non essere bugiardi, prima che con noi stessi, abbiamo il dovere di affrontare consapevolmente il pericolo deflagrazione, sperando di disinnescare l’ordigno prima che esploda. Esso si compone di due «inneschi» a catena, ciò in quanto il primo è funzionale a generare l’incremento del secondo: l’equilibrio precario, che taluni salvano con il predissesto per non avere fastidi immediati, e il debito nascosto, surrettiziamente mantenuto fuori bilancio.
Ciò accade, prioritariamente, per l’irragionevole consegna che la politica fa dei bilanci pubblici, salvo casi eccezionali, ad esponenti non propriamente «attrezzati» per svolgere le relative competenze assessorili e, di conseguenza, soventemente preda dei soliti dirigenti che hanno co-generato i disastri. Quei problemi di bilancio nei confronti dei quali occorrerebbe, invece, opporre le soluzioni più immediate, con relativi e ulteriori sacrifici al seguito.
Il problema degli enti territoriali in squilibrio e delle aziende pubbliche in quasi perenne perdita è, dunque, il grande attualissimo quesito da risolvere. L’intervenuta armonizzazione della contabilità e dei bilanci del sistema infra-statale e degli enti ad esso sottostanti e il T.U. sulle società pubbliche (d. lgs. 175/2016), attuativo della riforma c.d. Madia, offrono l’occasione per rimediare.
Tutto dovrà avvenire alla luce del sole, facendo emergere, prioritariamente, l’entità del disavanzo e del debito, senza ricorrere a trucchi contabili. Conseguentemente, intervenire con scienza e ragionevolezza, ricorrendo con una forte istanza della politica e della società civile, in presenza delle attuali debolezze strutturali, a rivendicazioni perequative statali che consentano il ristoro finanziario nel lungo.
Altrimenti tra qualche anno sarà la fine, con disavanzi di amministrazione (complessivamente) miliardari di quanto, più siano quelli sino ad ora ammessi dalla PA a rate, e debiti non più ripianabili.
Così, oltre al timore del debito pubblico nazionale, che ci condiziona a livello comunitario e ci penalizza nel mercato (Padoan dixit), ci sarà quello del nostro territorio, impeditivo di ogni possibilità di crescita.

*docente Unical

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