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La guerra dell'acqua calabrese

Aprire il rubinetto dell’acqua e vederla scorrere è apparentemente uno dei gesti più semplici e ovvi che compiamo più volte al giorno. Eppure nel mondo quasi un miliardo di persone non dispongono d…

Pubblicato il: 10/02/2017 – 10:00
La guerra dell'acqua calabrese

Aprire il rubinetto dell’acqua e vederla scorrere è apparentemente uno dei gesti più semplici e ovvi che compiamo più volte al giorno.
Eppure nel mondo quasi un miliardo di persone non dispongono dei due litri di acqua al giorno per dissetarsi e a due miliardi mancano i diciotto litri al giorno indispensabili per l’igiene. Nel ventunesimo secolo sommosse per l’acqua si sono verificate in Cina, Bolivia, India, Kenya, Pakistan, Somalia e Sudan. Già oggi la Cina dispone solo di un terzo di acqua pro capite rispetto alla media mondiale.
Anche in Calabria periodicamente si apre una sorta di “guerra dell’acqua” che ha come protagonisti cittadini contro istituzioni ovvero istituzioni contro altre istituzioni o contro società private o a controllo pubblico. Tutti segnali di un settore (al pari di quello dei rifiuti) in cui si “naviga a vista” e che fa registrare anno per anno un peggioramento della situazione dalla quale non si riesce a venire a capo.
I dati ufficiali ci dicono che se nel 1999 occorreva immettere 134 litri di acqua per erogarne 100, nel 2005 si è saliti a 152 litri di acqua per erogarne 100. Nel 2008 occorreva immettere nelle reti 150 litri di acqua per erogarne 100 e nel 2012 si è saliti a 154 litri.
Nel 2012 il volume complessivo di acqua immessa nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile in Calabria è stata pari a 327,6 milioni di metri cubi, con una crescita del 9,9% rispetto al dato precedentemente censito nel 2008, a fronte di una valore medio in Italia del 2,6%.
Il volume erogato agli utenti calabresi è di 211,6 milioni di metri cubi, che corrisponde a un consumo giornaliero di acqua pari a 296 litri per abitante (a fronte di una media nazionale di 241 litri), 24 litri al giorno in più rispetto all’ultimo dato censito nel 2008 (a fronte di un dato medio nazionale di -12 litri).
Pertanto il 35,4% dei volumi immessi in rete non raggiunge gli utenti finali con un peggioramento rispetto al 2008, quando le dispersioni di rete erano del 33,1%. Si disperdono quindi, per ogni residente calabrese, 162 litri al giorno.
Il dato della dispersione produce una perdita secca nei valori finanziari dei Comuni e lo spreco di una ricchezza come l’acqua, che sta via via assumendo un carattere non più di bene libero ma di risorsa scarsa, non si traduce solo in costi aggiuntivi e disagi per l’utenza, significa anche la necessità di aumento del prelievo e dunque di maggiori impatti sugli ecosistemi.
Quanta di questa situazione è dovuta all’attuale organizzazione del settore regionale? Molto se si considera che nella nostra regione il servizio – che pure è scritto e definito integrato – si mantiene frammentato, perché la gestione unitaria dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue non ha mai trovato la sua realizzazione per discutibili scelte politiche che ancora permangono.
A macchia di leopardo nel territorio regionale diversi soggetti gestiscono frammenti del settore, chi il ciclo di distribuzione, chi la depurazione mentre alla SoRiCal S.p.A. – oggi in liquidazione – era stata affidata la fase di captazione e adduzione in tutta la Regione. La necessità invece di una gestione integrata deriva dalla esigenza di non creare diseconomie ed evitare che ciascun soggetto possa scaricare altrove le responsabilità e i costi di una pessima parziale conduzione.
nche nel servizio idrico c’è la polpa, ossia la parte più lucrosa e l’osso, leggi le rogne. Non c’è dubbio che, per motivi a tutti ben noti, la parte critica del servizio idrico integrato è quello di distribuzione dell’acqua potabile. Perdite fisiche dovute alla vetustà delle condotte idriche e alla precarietà degli allacci, perdite dovute ai furti di acqua e al suo uso improprio, perdite dovute alla mancata contabilizzazione dell’acqua erogata (ad oggi sono numerosi i comuni calabresi le cui utenze non sono dotati di contatori), creano il risultato di rendere non competitivo tale servizio, peraltro residuo economicamente, ma non certo per la popolazione. In questa situazione chi ottiene un vantaggio enorme è soprattutto chi vende l’acqua, oltre il 60% di più rispetto a quella che i gestori della distribuzione (i Comuni) riescono a fatturare agli utenti finali.
Anche gli ultimi dati disponibili sui bilanci consuntivi 2015 dei Comuni calabresi  indicano, in continuità con un dato oramai storico, che la riscossione è il vero “buco nero” del settore (al pari di quello dei rifiuti) la cui capacità è stata  – sul 77% di comuni e di popolazione – di appena 12,4, il che significa che su 100 € di accertato se ne riscuotono nello stesso anno appena 12.
È questa una situazione protratta nel tempo che ha provocato, dal 2001 al 2015 un totale di circa 770 milioni di euro di residui attivi comunali solo per il sistema idrico integrato, con una effettiva copertura media dei costi totali di gestione di appena il 60%.
In questo quadro i dati disponibili, che pure sono enormi, e le chiare responsabilità sembrano non pesare affatto. Al più producono periodiche campagne mediatiche che tuttavia non appiano risolutive, al pari di una debole, se non assente, strategia regionale se non quella, tante volte enunciata, «di fare uscire la Calabria dall’emergenza».

*Ex presidente di Legautonomie Calabria

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