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Legge elettorale e responsabilizzazione della politica

Il titolo che abbiamo assegnato a questa breve nota riepiloga la nostra prima impressione a valle della rilettura della lunga (e attesa) sentenza della Corte costituzionale. Prima di anticipare alc…

Pubblicato il: 10/02/2017 – 14:12
Legge elettorale e responsabilizzazione della politica

Il titolo che abbiamo assegnato a questa breve nota riepiloga la nostra prima impressione a valle della rilettura della lunga (e attesa) sentenza della Corte costituzionale.
Prima di anticipare alcune delle linee fondamentali seguite dalla Corte nel suo argomentare, richiamandone le relative decisioni (di parziale censura), appare opportuno sottolineare come, alla lettura, la sentenza evidenzia in modo significativo le responsabilità che sono proprie del legislatore nella definizione delle regole elettorali a garanzia della rappresentatività delle assemblee legislative e della stabilità del governo del Paese. Nulla di veramente nuovo sotto tale profilo, in quanto la Corte non fa che ribadire quanto già aveva affermato nella (nota) sentenza 1/2014, con cui dichiarò (parzialmente) incostituzionale il Porcellum.
L’insistenza all’assunzione di responsabilità da parte del legislatore la ritroviamo fino alle righe conclusive della decisione, quando la Corte lo “invita” ad assicurare il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare attraverso la omogeneizzazione dei due diversi sistemi elettorali che ad oggi disciplinano la costituzione dei due organi della rappresentanza nazionale.
La scelta che fu a suo tempo difesa della maggioranza parlamentare (sulla base del voto di fiducia richiesto/imposto per l’adozione dell’Italicum) di procedere alla sola modifica della legge elettorale per la Camera dei deputati – convinti del buon esito della riforma costituzionale Renzi/Boschi – ha accentuato l’attuale disomogeneità fra i due rami del Parlamento che sia il Presidente della Repubblica, prima, che la Corte costituzionale, ora, chiedono che venga superata con una strategia istituzionale di armonizzazione normativa.
In un simile scenario, per la Corte ne dovrebbe conseguire  una responsabilizzazione del legislatore, che per tale ragione dovrebbe intervenire senza accontentarsi delle leggi elettorali così come ora “riscritte” dal Giudice delle leggi. Se non si trattasse di un vero e proprio “monito” della Corte, di certo saremmo dinanzi a qualcosa che gli si avvicina molto e che richiama il Parlamento alla sua funzione costituzionale di decisore politico.
Il Parlamento, qualora dovesse seguire un simile invito – come è auspicabile che faccia – dovrà seguire gli indirizzi della Corte, pur conscio delle innumerevoli potenzialità che residuano nella sua disponibilità normativa, alcune delle quali sono espressamente indicate dalla Corte.
Non è certo questa la sede per un approfondimento sulle funzioni della Corte, che devono rimanere indefettibili nel quadro di una democrazia che è costituzionale. La Corte in questa sentenza dimostra – con esiti apprezzabili – il suo essere organo giurisdizionale attento a non invadere l’ampia discrezionalità che è propria della scelta legislativa. Cionondimeno (anche per ragioni tecnico-processuali da tempo sottolineate dalla dottrina costituzionalistica), essa decide d’intervenire – peraltro in un ambito che, per sua natura, è fortemente politico – in quanto risulta dall’esigenza  «che non siano sottratte al sindacato di costituzionalità le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel sindacato». Ciò consente alla Corte di evitare «la creazione di una “zona franca” nel sistema di giustizia costituzionale, in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico dell’ordinamento».
Entrando ora nel merito della decisione adottata dalla Corte e limitandoci alle sole questioni che riteniamo maggiormente meritevoli di essere sottolineate, fra di esse appaiono decisioni che riconoscono tanto la legittimità della scelta compiuta dal Legislatore quanto quelle che la negano in radice. Fra le prime, la più rilevante è sicuramente quella che dichiara costituzionalmente conforme il ‘premio di maggioranza’ da attribuirsi alla lista che raggiunga il 40% dei voti validi. Per la Corte, il premio di maggioranza assegnato al primo turno non determina una distorsione della rappresentanza, in quanto questo si ricollega al raggiungimento di una soglia fissata dalla legge (appunto nella misura del 40%); tale previsione era del tutto assente nel Porcellum.
La mancata indicazione di una soglia da raggiungere per l’attribuzione del premio al secondo turno ha invece determinato la censura del Giudice costituzionale delle disposizioni inerenti il turno di ballottaggio. Diversamente da altri sistemi che prevedono l’utilizzazione di una simile technicality, la Corte ricorda come, nell’Italicum, «il turno di ballottaggio serve… ad individuare la lista vincente, ossia a consentire ad una lista il raggiungimento di quella soglia minima di voti che nessuna aveva invece ottenuto al primo turno». Ad avviso della Corte, in altri termini, il ballottaggio altro non è se non il proseguimento della tornata elettorale, limitato però alle sole due liste maggiormente votate. Nel sistema elettorale disegnato dall’Italicum, una lista avrebbe potuto accedere al ballottaggio anche qualora avesse conseguito un numero di voti esiguo al primo turno, con la conseguenza che il premio di maggioranza assicurato alla lista più votata (fra le sole prime due), al secondo turno, avrebbe consentito l’assegnazione di un premio di maggioranza talmente elevato da produrre un effetto distorsivo della rappresentanza che la Corte non ha potuto – e a ragione – che dichiarare incostituzionale per violazione del principio di eguaglianza (articoli 1, 3 e 48 Costituzione).
Proseguendo con la individuazione delle disposizioni oggetto di censura, sono ora da richiamarsi almeno quelle in tema di capilista bloccati e della pluricandidatura contemporaneamente in più collegi sempre da parte dei capilista. Con riguardo al primo profilo, per la Corte non rilevano le censure per come avanzate dai giudici ricorrenti, in quanto non ci troviamo di fronte a liste composte da un numero assai elevato di candidati ed interamente bloccati (come accadeva nel previgente sistema elettorale), che non permettano all’elettore margini di scelta dei propri rappresentanti, per giunta risultando il candidato (presente in una lista bloccata e lunga) difficilmente conoscibile. Che non sia così è presto detto per la Corte, in quanto nell’Italicum: le liste sono di dimensione ridotte; l’unico candidato bloccato è il capolista; l’elettore dispone di un voto di preferenza. Per la Corte, in altri termini, il capolista bloccato rimane pur sempre espressione di autonomia politica, costituendo il risultato di una scelta adottata dai partiti politici al momento della formazione delle liste.
Strettamente legata alla previsione del capolista bloccato vi è quella della sua possibile pluricandidatura in più collegi, con la conseguenza che una sua plurima elezione gli consentirebbe una “opzione arbitraria” nella scelta del collegio di elezione determinando, in tal modo, effetti elettivi pregiudizievoli per gli altri candidati. Tale soluzione è stata dichiarata incostituzionale in ragione della distorsione del voto ma anche per violazione del principio dell’uguaglianza e soprattutto della personalità del voto. A seguito di tale dichiarazione di incostituzionalità, rivive nell’ordinamento elettorale la disciplina del sorteggio contenuta nell’ultimo periodo dell’articolo 85 del d.P.R. n. 361 del 1957.
Quanto ad una breve riflessione di una sentenza molto lunga e tecnica, ci sentiamo di ribadire come la lettura seguita dal Giudice delle leggi permetta (e spinga a) un’ampia manovra al legislatore non solo nelle parti dichiarate incostituzionali, ma anche – e lo si sottolinea – in quelle la cui conformità a Costituzione è stata riconosciuta.
Il legislatore non dovrà utilizzare la sentenza della Corte come u
na sorta di “bollino di costituzionalità”, che escluda aprioristicamente l’avvio di un dibattito sulla legge elettorale serio ed approfondito alla luce delle esigenze storiche che sta attraversando il Paese e il sistema politico-partitico tutto; potrà quindi decidere di rimettere le mani sulle soglie da prevedersi per l’assegnazione del premio di maggioranza, sulle soglie di sbarramento, sulla opportunità di rivedere – nel caso di pluricandidature – il criterio del sorteggio a favore di altre modalità, come può essere quella, ad esempio, dell’elezione dell’eletto nella circoscrizione in cui ha ottenuto più voti … Norme elettorali – queste ultime – ora consentite alla luce della sentenza costituzionale, ma del tutto aperte ad una loro rivisitazione al fine di rendere la legge elettorale più adeguata e maggiormaente rispettosa della volontà degli elettori.
Che le forze politiche vorranno procedere seguendo l’indirizzo tracciato dalla Corte è difficile prevedere. Che una legge elettorale debba essere scritta – pur non essendolo  – come una vera e propria legge costituzionale costituisce la vera sfida a cui sono (ora e ancora una volta dopo la decisione della Corte) chiamate tutte le forze politiche (ma anche quelle culturali) che siedono in Parlamento e fuori da esso!

*Costituzionalisti

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