CATANZARO Beni per oltre 450mila euro, tra cui due ville, sono stati confiscati a Lamezia Terme dalla Guardia di finanza a due esponenti di una cosca di ‘ndrangheta, Giuseppe Notarianni e Carmen Bonafè, già condannati in primo grado nel processo “Perseo” contro la cosca di ’ndrangheta Giampà. Il provvedimento ha riguardato anche l’applicazione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza. La confisca eseguita dalle fiamme gialle di Lamezia, guidate dal colonnello Fabio Bianco, ha riguardato, oltre alle due ville, un appezzamento di terreno e tre autovetture. L’operazione è stata coordinata dalla Dda di Catanzaro che ha firmato la richiesta, vergata dal procuratore capo Nicola Gratteri e dal sostituto Elio Romano.
LA EDILNOTAR AL SERVIZIO DELLA COSCA Destinatari del provvedimento sono i coniugi Giuseppe Notarianni e Carmen Bonafè, legati, secondo gli inquirenti, alla cosca Giampà. Gli accertamenti patrimoniali eseguiti dei militari avrebbero dimostrato che i beni riconducibili alla coppia erano di valore del tutto sproporzionato ed ingiustificato rispetto ai redditi dichiarati e al tenore di vita mantenuto.
I coniugi Notarianni-Bonafè nel 2001 avevano avviato un’attività d’impresa, la “Edilnotar”, la quale, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe servita solo per giustificare l’impiego in attività economiche del denaro proveniente da attività usurarie svolte dai loro congiunti, tutti sodali della cosca Giampà.
Attraverso la “Edilnotar” la coppia aveva acquistato un terreno in contrada Talarico che aveva poi lottizzato e qui avevano costruito un complesso residenziale costituito da villette bifamiliari da vendere a privati. Una di queste villette era stata venduta a familiari, anch’essi appartenenti alla cosca Giampà, ai quali l’immobile è già stato sequestrato.
IL PRESTANOME E GLI ASSEGNI DELLE VITTIME D’USURA Gli investimenti, hanno appurato gli inquirenti, sono stati possibili poiché la coppia si avvaleva di un impresario prestanome, nel frattempo deceduto, e della stessa “Edilnotar” che sarebbe stata utilizzata per giustificare le movimentazioni bancarie. Le fiamme gialle hanno accertato che sui conti correnti intestati all’impresa, dal 2000 al 2011 sono stati effettuati versamenti per un totale di 2.116.051,28 euro, a fronte di una produzione di redditi pari a 58.156,00 euro. Inoltre questi versamenti non hanno trovato nessuna giustificazione commerciale o d’impresa.
Non solo, tra i versamenti sono stati trovati assegni che le vittime d’usura avevano consegnato ai parenti della coppia a fronte di prestiti ricevuti.
La coppia avrebbe tentato di giustificare il patrimonio posseduto affermando che gli investimenti accertati dalla Guardia di finanza erano derivanti da attività d’impresa non dichiarate al fisco. Ma questa tesi non è stata accolta dal tribunale. La sproporzione tra tra redditi e beni posseduti, secondo gli inquirenti, non può essere giustificata adducendo proventi da evasione fiscale.
Il quadro indiziario fornito alla magistratura ha consentito alla Dda di procedere alla richiesta della confisca dei beni che è stata accolta dal giudice Valea, presidente della seconda sezione del Tribunale di Catanzaro, con provvedimento di confisca e di applicazione della sorveglianza speciale.
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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