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Servono politici preparati per arginare la burocrazia

Ho letto il commento del deputato Demetrio Battaglia sul peso negativo della burocrazia sulla crescita della Calabria. Anali chiara e condivisibile. Altrettanto la proposta. Qualche perplessità per…

Pubblicato il: 11/02/2017 – 8:21
Servono politici preparati per arginare la burocrazia

Ho letto il commento del deputato Demetrio Battaglia sul peso negativo della burocrazia sulla crescita della Calabria. Anali chiara e condivisibile. Altrettanto la proposta. Qualche perplessità per la unidirezionalità della critica.
È dunque tempo che la politica si svegli. Che cominci ad essere alla pari con la burocrazia in termini di conoscenza delle materie che è tenuta a trattare, sia legislativamente (la Regione) che amministrativamente (tutti). È questo l’unico modo per non fare ciò che si è fatto sino ad oggi. Un disastro dietro l’altro. 
Nei Comuni inguaiando bilanci, causa l’ignarità  sull’argomento e quasi sempre condotti alla rovina da un burocrazia, in pochi caso all’altezza dei compiti. Lo dimostrano le decine e decine di Comuni calabresi dissestati  ovvero che hanno fatto ricorso alle procedure di riequilibrio finanziario pluriennali (in predissesto), di frequente, impossibili. 
Nella Regione ove da sempre vige la stessa musica: una legislazione da incapaci, tante sono state le bocciature della Consulta (circa l’89% di quelle impugnate dal governo, senza contare quelle inutili, improduttive in senso lato; una gestione dei fondi comunitari ammalata di inettitudine; una sanità da fare paura ai sani, figuriamoci agli ammalati, tanto da non avere registrato alcun cambiamento nonostante le maggioranze che si sono avvicendate; una politica agricola che ha non ha premiato i giovani capaci e volenterosi di intraprendere una attività agroalimentare; un turismo che ha respinto e non accolto, viziato da una gestione del territorio da fare inorridire le masse dei potenziali frequentatori della nostra terra; l’incuranza dei nostri mari, pieni zeppi di coliformi fecali, quando va bene; un lavoro per i giovani trascurato, tanto da indurli a dimettersi da calabresi.
Insomma, chi più ne ha più ne metta. 
In tutto questo ha inciso, ovviamente in senso negativo, la mancata crescita dei saperi della rappresentanza politica a fronte di una burocrazia che, seppure nella gran parte non professionalizzata così come le esigenze meriterebbero, è divenuta un gigante. Ed è così che agisce, approfittando dell’incapacità, persino di lettura, dei decisori a programmare e controllare severamente il suo operato. 
Tutto questo avviene perché i partiti, che non sono certamente nemmeno l’ombra di  quelli di una volta, non hanno mai inteso ricorrere ad una corretta individuazione della classe dirigente, pena il pericolo di sottoporre i loro «padroni» a tremende figuracce. Per farla breve, in Calabria più che altrove è valso e vale ancora il detto tribologico definito “Dilemma del grande capo”. Il «crudele problema che affligge gran parte degli alti dirigenti. Possono avere successo solo utilizzando dei dipendenti capaci, ma più sono capaci i dipendenti, più costituiscono un pericolo per la loro sopravvivenza al vertice».
Ecco la regola di vita (politica) che è stata la causa del mancato funzionamento della Pa territoriale. Non solo. Ha contribuito alla fuga dei migliori dai partiti, minacciati da quelle presenze padronali che  hanno reso la politica un’arma per ferire la legalità piuttosto che uno strumento favorevole per frequentarla e generarla ove manca del tutto.
A tutto questo si sono aggiunti: 
– l’abituale e continuata discriminazione nella scelta dei dirigenti che ha premiato i più «leali» (rectius, gli asserviti), rispetto a quelli più preparati, spesso esiliati in postazioni minori perché rivendicatori della loro autonomia gestoria, la loro ineludibile prerogativa.
– l’assenza di cura nei confronti della burocrazia medesima, di quella migliore che non produce in tal senso perché abbandonata a se stessa, per difetto di formazione continua e fiducia.
Proviamo a cambiare le regole comportamentali. Le oneste presenze ci sono, a condizione che la sappiano espellere, per dirla alla mia nonna Ciccina, «l’erba cattiva», e non già convivere con essa. Una espulsione che deve riguardare chi non serve, chi danneggia la tranquilla esigibilità dei diritti con la loro presenza e con la loro insaziabile «fame». 
Quanto alla burocrazia, l’invito a non accettare la «vita da pecora». 

*Docente Unical

 

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