Sono stato amministratore della più grande città della Calabria, prima che intervenisse la riforma della Pubblica amministrazione degli anni 90. Vigendo la legge, poi riformata, ho firmato concessioni edilizie, ordinanze di demolizioni, ecc. Dopo 15 anni sono stato assessore provinciale prima e consigliere regionale poi, con quadro normativo che aveva mutato gli equilibri tra amministratori e burocrati. Modifiche legislative che ho sempre condiviso e continuo a condividere. Soprattutto, ho maturato 30 anni di esperienze professionali venendo spesso, in ragione della mia professione, a contatto con la
pubblica amministrazione. Le due fasi sono state caratterizzate da un notevole miglioramento del
sistema burocratico e da una modifica radicale del ceto politico.
La “Prima Repubblica”, oltre a non avere una classe politica nomade, aveva partiti che non selezionavano ignoranti e nullafacenti. La riforma ha imposto un cambio di passo alla struttura amministrativa i cui risultati però, nella nostra terra, non si sono colti appieno. Ora, è chiaro che la politica è responsabile, per le sue azioni o per le sue omissioni, se la cosa pubblica non funziona e, direttamente, ne risponde ai cittadini.
Quindi, condivido quanto scrive il professore Jorio specificando, a ogni buon conto, che il mio intervento non era indirizzato, solo ed esclusivamente, alla Regione ma all’intero apparato delle Pubbliche amministrazioni. Tuttavia, con il mio contributo ho cercato di trasferire la questione dal piano teorico a quello pratico per tentare di chiuderla definitivamente. È normale, tra studiosi ed esperti, discutere del cattivo funzionamento della burocrazia: i dati e le ricerche al riguardo sono chiari. È meno normale per noi politici trattarne all’infinito, senza adottare provvedimenti positivi. Il problema posto, che interessa l’intero sistema dei Comuni, delle Province, delle Regioni, delle Asl, ecc., consiste nel dare un volto e un’identità a questa burocrazia perché, altrimenti, ci troviamo davanti a un fantasma e al classico fenomeno: tutti responsabili, nessuno responsabile. Un fantasma che diventa un alibi quando le cose non funzionano. Un amministratore ha il dovere di intervenire ove ritiene che un dirigente, un funzionario, persino un autista intralcia la macchina amministrativa per una qualsiasi ragione, premiando i meritevoli e allontanando gli incapaci. L’apparato amministrativo, per primo, dovrebbe pretendere queste azioni, per non restare schiacciato in una responsabilità che da individuale
diventa complessiva; in caso contrario, facendo di ogni erba un fascio, si alimenta un senso di sfiducia complessiva a tutto scapito dell’azione amministrativa. Ciò diventa sempre più indispensabile per arginare l’arroganza originata dall’ignoranza di taluni politici che pretendono e, spesso, ottengono dalle strutture amministrative la produzioni di atti in violazioni del buon senso e di norme, anche costituzionali. Lo affermo perché un amministratore non è il presidente di un circolo culturale ma un soggetto che ha in mano gli strumenti per passare dalla teoria alla pratica. Se non si fa così chiudiamo questa discussione continua sulla burocrazia che è utile solo a spostare, temporaneamente, l’attenzione dalla realtà senza però, cambiarla.
Credo che in Calabria sia necessario un distacco reale tra la politica e l’apparato perché, anche i gesti in una terra come la nostra, hanno la loro importanza. Fa effetto vedere la sera delle elezioni i dipendenti comunali, provinciali e regionali brindare con i trionfatori dopo avere festeggiato, cinque anni prima, con i vincitori di ieri. Cosi come, fa riflettere
l’eccessiva familiarità che si crea tra l’assessore e i dirigenti. L’uso del “lei” negli uffici è sparito: può sembrare una banalità ma il tu, sovente, è sinonimo di una finta amicizia che serve a coprire tutto e
tutti. Ritengo che il problema burocrazia esista e che ci siano tutte le condizioni per affrontarlo; che la politica non abbia possibilità di costruirsi nuovi alibi e, quindi, unitamente al confronto con i sindacati che hanno una storia e una tradizione – non con sigle inventate per l’occasione – sia possibile aprire un una stagione di meritocrazia per tentare di recuperare i nostri ritardi.
deputato Pd*
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