SAN GIOVANNI IN FIORE Si può disertare un incontro convocato dal Prefetto di Cosenza per discutere dei problemi di circa 300 disoccupati di San Giovanni in Fiore? La Regione Calabria riesce anche in certe prodezze. È successo il 7 febbraio: a Cosenza erano tutti in attesa che arrivasse un rappresentante del dipartimento Lavoro. C’era il sindaco della “capitale” della Sila, tanto cara al governatore Oliverio, e c’erano i rappresentanti del Comitato cittadino per il lavoro dignitoso. Da Catanzaro, invece, non è arrivato nessuno. E dire che, in quelle stesse ore, qualcosa nella Cittadella stava avvenendo proprio sul fronte del lavoro: la presentazione di un maxi Piano di investimenti.
Paolo De Marco, sangiovannese di origini e franco-canadese per formazione (ha insegnato Relazioni internazionali all’Università di Montreal per 15 anni: la sua specializzazione è Economia politica internazionale), è l’animatore del movimento: ha pensato, assieme ai disoccupati, sette progetti «di lavoro vero – dice –, non di assistenzialismo, che sono stati giudicati meritevoli di attenzione dall’assessore Federica Roccisano. Ma non mi aspettavo succedesse una cosa del genere. Sono tornato a vivere in Calabria tre anni fa: una cosa del genere non l’avevo mai vista». La “cosa del genere” è l’assenza della Regione al tavolo istituzionale: «È un affronto ai disoccupati tutti e ai cittadini in generale – continua De Marco –. Hanno snobbato un procedimento di consultazione democratica, il dialogo con un gruppo che vuole creare una base di sviluppo sostenibile in un Altopiano silano che si sta spopolando». Il nodo sta (anche) qui: De Marco e il Comitato credono che le loro idee possano superare il limite dell’assistenzialismo puro. Molto più di quanto non facciano le proposte che arrivano dalla Regione: «L’amministrazione ha preferito un bando che spreca un milione di euro per l’attivazione di 230 corsi di formazione senza alcuno sbocco lavorativo». Il rischio è che i progetti “non assistenziali”, pensati per essere finanziati con una quota di fondi europei, vengano accantonati a favore di quelli ispirati da vecchie logiche. La certezza è uno sgarbo istituzionale che non lascia sperare per il meglio: «Dicevamo “non più sussidi, vogliamo lavoro” e hanno cercato di spaccarci con la proposta dei corsi di formazione. Ora portiamo idee concrete e ci ignorano». Dalla prima manifestazione – i disoccupati di lunga durata sono più di 300 – è passato un anno. Nel febbraio 2016 la protesta bloccò il Comune: dapprima “invisibili”, i disoccupati riuscirono a ritagliarsi uno spazio nell’agenda del dipartimento Lavoro. Quello spazio, adesso, sembra essere scomparso. Almeno fino alla prossima riunione. Per ora rimane l’affronto di una riunione disertata senza neppure avvertire. Oltre all’inerzia pure la scortesia.
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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