ROMA Né renziani, né antirenziani. Mario Oliverio e i suoi misureranno nel congresso la forza della loro proposta. La road map disegnata dal governatore e dal regista (Nicola Adamo) di un’operazione dai risvolti ancora inediti, prevede due step. Il primo: costruire una corrente autonoma – con la specificità di essere tutta calabrese – all’interno del Pd, sganciata dai tradizionali capicorrente. Il secondo: valutare nelle prossime settimane se rinnovare la fedeltà a Matteo Renzi o scegliere Michele Emiliano, il governatore pugliese (ex renziano) che considera ormai l’ex premier un relitto. O ancora virare su Andrea Orlando, ministro del governo Gentiloni a metà tra il corpaccione renziano e la minoranza scissionista. Opzione non semplice, considerato che il referente calabrese dell’attuale Guardasigilli è Carlo Guccione, il più feroce oppositore interno dell’asse Oliverio-Adamo.
Nel frattempo, comunque, si balla. E il voto favorevole di ieri in direzione alla mozione renziana che accelera in direzione del congresso, espresso da Oliverio e Bruno Bossio, è un altro segnale di quanto sia forte la volontà di arrivare a una conta per valutare i nuovi rapporti di forza all’interno del partito e poter incidere nella scelta dei candidati al Parlamento. Già, perché è quello il vero spauracchio che disturba il sonno dei vari Oliverio, Adamo e Bruno Bossio. Ma anche quelli di Bruno Censore, il deputato vibonese tornato vicino agli ex compagni diessini.
La mossa del governatore (e del suo mentore) potrebbe spingere ancora di più alla marginalizzazione la minoranza interna, qui rappresentata dai bersaniani Nico Stumpo e Doris Lo Moro. Senza le truppe del governatore, per loro al congresso diventa arduo ottenere grandi spazi. Può, Emiliano, riuscire nel miracolo di mettere tutti d’accordo? Al momento appare difficile vedere dalla stessa parte Bruno Bossio, Stumpo, Lo Moro e Adamo.
Con Bersani e D’Alema c’è lo strappo doloroso del referendum. Oliverio ha preso subito le distanze dalla battaglia della minoranza a favore del No. Ma soprattutto ha speso parole d’elogio nei confronti del governo Renzi (vanta eccellenti rapporti con i ministri Delrio e Martina), meritevole di aver collocato il Mezzogiorno al centro della sua azione politica. Poi ha detto stop a ogni ipotesi di nascita di Lega del Sud preconizzata da D’Alema. Dunque, quasi un punto di non ritorno per riabbracciare i due leader della sinistra dem.
Al candidato alla segreteria che sceglieranno, Oliverio e Adamo porteranno sì in dote Bruno Bossio, Censore, Romeo e Mirabello, ma con una prerogativa: il poter rivendicare uno spazio di autonomia (come era successo con il Pdm di Agazio Loiero) tutto calabrese. Da questa posizione si potrà, ragionano il governatore e i suoi collaboratori, premere per ottenere qualcosa di concreto. Gira e rigira sempre alla nomina di commissario alla sanità si torna. E chissà che con la geografia interna ai dem ridisegnata anche la ministra della Salute non scenda a più miti consigli.
Quanto ai renziani, si vive come «color che stan sospesi», in attesa del nuovo guizzo del capo. Nei ristoranti di Roma, fedeli indicatori dello stato di salute del potente di turno, i renziani attovagliati sono sempre meno. Ernesto Magorno è uno degli ultimi commensali rimasti fedeli a Luca Lotti. Gli altri preferiscono restare nell’ombra.
Marco Minniti, poi, non ne vuole sapere di restare intrappolato nelle beghe di queste ore. Alla direzione è andato, ma con un profilo neutro, come compete al titolare del Viminale. Quanto alle vicende calabresi, è il pensiero del ministro dell’Interno riportato dai pochi custodi della sua ortodossia, meglio tenersi alla larga. Molto alla larga.
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it
x
x