LAMEZIA TERME Qualcuno lo ha definito “un piccolo miracolo”. La nascita di un luogo di aggregazione, studio e sperimentazione, come il Crac (acronimo di Centro di Ricerca per le Arti Contemporanee), – e ancor più la sua prova di resilienza – a queste latitudini effettivamente lo è. Difficile a credersi, ma nella periferia di Lamezia Terme esiste davvero un centro il cui scopo dichiarato è quello di fare da cassa di risonanza della bellezza. Dopo i successi delle passate edizioni del Frac festival, con ospiti di livello mondiale quali GhostPoet, Koreless, Voices From the Lake, Quiet Ensemble e molti altri, e della rassegna “A burning autumn under a Southern sky”, ecco in arrivo un altro concentrato di musica, danza, arti visive e installazioni e residenze artistiche dal titolo evocativo “Lights in the storm”, con un programma vastissimo e ricco di eventi che si dipanerà fino al mese di maggio. Ne parla al Corriere della Calabria la direttrice artistica, giovane imprenditrice e founder del Crac, Nicoletta Grasso.
Il Crac, di cui sei fondatrice oltre che presidentessa, è al terzo anno di vita: un traguardo importante per un progetto, per così dire, “di nicchia”, che ha sede stabile nel sud Italia. Ma cosa significa la presenza di un luogo come Crac a Lamezia Terme?
«Occorre precisare prima di tutto che il Crac non sorge nel centro della città, accanto ai posti più frequentati o ai locali più alla moda: il centro si trova in una zona “off”, periferica e, se vogliamo, anche piuttosto malfamata. In questo senso il Crac è un po’ come una perla gettata in uno stagno, un posto “alieno” rispetto allo spazio circostante. Ma la nostra mission è proprio quella di “portare la bellezza” e di portarla qui, e non altrove, dove già esistono esperienze similari. Devo ammettere che non è facile, perché è ancora bassa la percentuale di persone ricettive alla novità e abituate a fruire un tipo di performance basate su un lavoro di ricerca. Diverso il discorso per Frac, il nostro festival internazionale di arti contemporanee che vede esibirsi ogni anno oltre 50 artisti provenienti da tutto il mondo, e che senz’altro è in grado di attrarre maggiormente molte più persone».
Proprio in questi giorni ha preso il via “Lights in the storm”, la seconda rassegna di arti visive e performative targata Crac (secondo atto della rassegna omonima cominciata a novembre, nda), inaugurata dalla mostra fotografica di Annabella Cuomo e la preview di “(In)natural”, esibizione di danza contemporanea a cura di Matteo Sedda che andrà in scena il 17 febbraio. Come è stato l’approccio con questi due giovani – seppur già rinomati – artisti?
«Annabella partecipò alla prima apertura di Crac, è presente nel nostro circuito artistico sin dalla fase embrionale. Le sue fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero, mostrano dei ritratti, quelli dei volti incontrati per caso, per strada, all’aperto; più che foto sono poster, sui quali l’autrice è intervenuta direttamente. L’incontro con Matteo, (già nel cast del celebre spettacolo Mount Olympus/24h di Jan Fabre) invece, è avvenuto grazie alla nostra open call, cui diversi artisti hanno risposto presentando una proposta di residenza, studiata ad hoc; i vincitori, tra cui Matteo, hanno scelto a loro volta gli artisti con i quali avrebbero voluto lavorare. Così ha preso vita una piccola compagnia, formata dalla regista Alessandra Ferreri e i ballerini Samuele Arisci, Chiara Monteverde e Antonin Chediny; trattandosi di una residenza, che dura dallo scorso 6 febbraio, abbiamo l’opportunità di assistere alla creazione vera e propria di una performance, in ogni sua fase. Siamo certi che il prodotto finale non lascerà affatto indifferente il pubblico, in quanto si tratta di un lavoro di nudo sperimentale e del tutto inedito sul rapporto tra uomo e natura».
Non molto tempo fa in un’intervista apparsa su La nuvola del lavoro, blog del Corriere della sera, hai raccontato del percorso inverso compiuto rispetto ai tuoi coetanei, spesso costretti a lasciare la Calabria per emigrare al nord, quando non all’estero, in cerca di lavoro. Potremmo definire la tua un’ “emigrazione al contrario”: dopo anni di formazione accademica e professionale avvenuta prevalentemente a Roma, la scelta di fare ritorno nella tua terra. Perché?
«Per onestà mi tocca dire che fino a qualche anno fa non avrei mai pensato di ritornare per restare. Poi, però, quando ho realizzato di voler fare il festival, ho capito che dovevo farlo qui. Io viaggio moltissimo per lavoro e, guardandomi un po’ attorno, osservando ciò che accade nelle altre realtà d’Italia e del mondo, mi sono chiesta: perché non deve esistere anche in Calabria, che è una regione meravigliosa, un festival di qualità?».
Un altro aspetto particolare del progetto è che nasce grazie ad un bando di finanziamenti per start up. Cosa ha rappresentato questo elemento per le sorti del centro?
«Si trattava precisamente di un bando per microimprese giovanili: vincendolo siamo riusciti a ristrutturare quella che era una vecchia scuola di informatica, a dotarla di tutte le attrezzature necessarie e, soprattutto, a finanziare interamente il festival e la prima rassegna, “A burning autumn under a Southern sky”. Questi incentivi ci hanno aiutato tantissimo, ma poi abbiamo iniziato a camminare con le nostre gambe incontrando non poche difficoltà. Per non parlare delle carenze dal punto di vista istituzionale: nessuno ci supporta concretamente, come dovrebbe».
Perché il Crac deve continuare a esistere?
«Perché se non ci fosse un luogo come il Crac i trentenni lametini, e non solo, appassionati di arte e di musica, farebbero fatica a restare qui. Deve continuare a esistere per far sì che non si sentano soli, persi completamente, fuori dal mondo. Il Crac per loro è come una navicella in questa città».
Chiara Fazio
redazione@corrierecal.it
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