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"Black Money", pioggia di assoluzioni per i Mancuso

VIBO VALENTIA Cade l’accusa di associazione mafiosa, comminati 48 anni di carcere in totale sui 219 chiesti dall’accusa, condannati 9 imputati su 21, prescrizione e assoluzione per tutti i rea…

Pubblicato il: 17/02/2017 – 16:45
"Black Money", pioggia di assoluzioni per i Mancuso

VIBO VALENTIA Cade l’accusa di associazione mafiosa, comminati 48 anni di carcere in totale sui 219 chiesti dall’accusa, condannati 9 imputati su 21, prescrizione e assoluzione per tutti i reati contestati al boss Pantaleone Mancuso. Dopo nove giorni di camera di consiglio, chiusi in un albergo cittadino, i giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto da Vincenza Papagno, Giovanna Taricco e Pia Sordetti a latere, hanno emesso la sentenza relativa al processo “Black Money” contro il clan Mancuso di Limbadi. Una sentenza che demolisce il lavoro dell’accusa, rappresentata dalla pm Marisa Manzini, che aveva chiesto un totale 219 anni e 2 mesi di carcere per le 21 persone coinvolte nell’inchiesta ed accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, usura, illeciti in materia di armi, evasione fiscale, esterovestizione.

LE DECISIONI DEI GIUDICI Nello specifico, le condanne comminate agli imputati sono state: Giovanni Mancuso, 9 anni e 9000mila euro di multa (chiesti 29 anni di reclusione); Agostino Papaianni, 7 anni e otto mesi e 5000 euro di multa (chiesti 28 anni e 6 mesi); Antonio Mancuso (cl. 1938), 5 anni e 3000 euro di multa e il risarcimento di 2000 euro di multa per la parte civile Domenico Polito (chiesti 27 anni); Giuseppe Mancuso, un anno e sei mesi (chiesti 19 anni); Gaetano Muscia, 7 anni e 8 mesi e 5000 euro di multa (14 anni); Damian Fialek, 3 anni e 5000 euro (chiesti 12 anni e 8 mesi); Leonardo Cuppari, 5 anni e 5000 euro di multa (chiesti 12 anni e 6 mesi); Antonio Prestia, 5 anni e 6 mesi e 4000 euro di multa (chiesti 7 anni); Antonio Velardo, 4 anni (chiesti 5 anni). 
Per tutti gli altri i reati sono stati prescritti o assolti: Pantaleone Mancuso, assoluzione per alcuni capi d’imputazione e prescrizione per altri (chiesti 26 anni e 6 mesi); Antonino Castagna, assoluzione (chiesti 12 anni); Nicola Angelo Castagna, prescrizione (chiesti 3 anni); Filippo Mondella, prescrizione (chiesti 3 anni); Carmela Lo Preste, prescrizione (chiesti 3 anni); Giuseppe Papaianni, assoluzione (chiesti 3 anni); Raffaele Corigliano, assoluzione (chiesti 3 anni); Ottorino Ciccarelli, prescrizione (chiesti 3 anni); Alberto Caputo, prescrizione (chiesti 3 anni); Pantaleone Zoccali, prescrizione (chiesti 2 anni e 6 mesi); Carmina Mazzitelli, prescrizione (chiesti 2 anni e 6 mesi); Federico Francesco Buccafusca, assoluzione (chiesta l’assoluzione).
Il collegio ha ordinato la liberazione, se non detenuti per altra causa, di Giovanni Mancuso, Giuseppe Mancuso, Agostino Papaianni, Leonardo Cuppari, Gaetano Muscia, Antonio Mancuso e Pantalone Mancuso.
La corte ha, inoltre, disposto i dissequestro dei beni ancora in sequestro e la trasmissione in Procura degli atti riguardanti le dichiarazioni dei testi Marina Currò e Giacomo Cicchello. 
Nella sua requisitoria il pm Manzini aveva sottolineato come la cosca Mancuso fosse rimasta attiva anche dopo la sentenza definitiva del processo “Dinasty-Affari di famiglia” del 2008 che certificò per la prima volta in via giudiziaria l’esistenza del clan i cui vertici furono decapitati nell’ottobre del 2003 con un blitz della Squadra mobile di Vibo Valentia e della Dda di Catanzaro nell’ambito di un’inchiesta coordinata proprio dal procuratore Manzini.

L’OPERAZIONE L’operazione “Black Money” è stata portata a termine il 7 marzo del 2013 dal Servizio centrale operativo della polizia di Stato, con la Squadra Mobile di Catanzaro, il Ros dei Carabinieri e il Gico della Guardia di finanza di Catanzaro e Trieste. L’operazione, coordinata dalla Distrettuale di Catanzaro, portò al fermo di 24 persone tra le quali Pantaleone Mancuso, ritenuto il boss dell’omonima cosca. Non una ‘ndrina tradizionale, secondo gli inquirenti, ma una «costellazione» articolata a partire dalla cosiddetta generazione degli 11. Gli undici fratelli e sorelle reggenti dei vari nuclei di cui si compone la federazione dei Mancuso. Una famiglia così potente da poter pretendere la percentuale sulle estorsioni fatte dagli altri clan di tutta la provincia vibonese. E con interessi in ogni settore: estorsioni, usura, controllo delle attività turistiche, imposizione delle forniture alle strutture alberghiere.

LA RICHIESTA DI RICUSAZIONE DI DUE GIUDICI Si è giunti a sentenza, dunque, nonostante una pronuncia della Cassazione che ha annullato con rinvio alla corte d’Appello di Catanzaro una richiesta di ricusazione di due componenti del collegio. Si tratta dei giudici Vincenza Papagno e Giovanna Taricco. I legali di Pantaleone Mancuso avevano avanzato richiesta di ricusazione perché i due giudici avevano già condannato il braccio destro del boss, Nunzio Manuel Callà, a 16 anni di reclusione nell’ambito del processo “Gringia-Dietro le quinte”. Nelle motivazioni della sentenza Pantaleone Mancuso viene descritto come come figura determinante nella sanguinosa faida che ha visto contrapposti i Patania di Stefanaconi e il clan dei “piscopisani”. Al riguardo, i giudici hanno sostenuto di non aver ricevuto alcuna comunicazione formale del ricorso in Cassazione contro il rigetto della precedente richiesta di astensione e, inoltre, di non aver ricevuto alcuna comunicazione della successiva pronuncia della Cassazione in ordine alla ricusazione.

Sergio Pelaia
Alessia Truzzolillo
redazione@corrierecal.it

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