«Alcune persone sono state affiliate alla ‘ndrangheta per le loro capacità. A me è successo da ragazzino, non per le mie capacità a delinquere, ma per la mia provenienza familiare». È con queste parole che il 28enne Domenico Agresta ha avviato, dallo scorso ottobre, la sua collaborazione con la Procura antimafia di Torino. Nato a Locri, quello che potrebbe essere il più giovane pentito della ‘ndrangheta ha vissuto a Platì e poi a Buccinasco e Volpiano, dove suo padre sarebbe stato caposocietà. È una famiglia, la sua, che secondo gli inquirenti farebbe parte dell’oligarchia della ‘ndrangheta che dall’Aspromonte ha finito per mettere radici al Nord.
Soprannominato “Micu Mc Donald” per la sua stazza, coinvolto (e condannato) nell’inchiesta Minotauro, Agresta è in carcere dal 2008, cioè da quando è stato arrestato con l’accusa di aver ucciso il piastrellista 23enne Giuseppe Trapasso. Condannato in via definitiva a 30 anni, ha deciso di cominciare a parlare con il procuratore Anna Maria Loreto perché «preoccupato» per la sua sicurezza: «I fatti che riferirò riguardano e coinvolgono i miei familiari. Sono stato affiliato alla ‘ndrangheta e la maggior parte delle cose che ho da dire riguardano i miei familiari».
A riportare alcuni stralci dei primi verbali del giovane pentito è il Corriere della Sera. La notizia della sua collaborazione è emersa nel processo per il delitto del procuratore di Torino Bruno Caccia, dopo che grazie alle sue rivelazioni è stato indagato un altro (presunto) killer. Il padre di Agresta, Saverio, oggi è libero e vive a Casorate Primo (Pavia), è stato anche lui arrestato per Minotauro, ed era considerato il caposocietà del locale di Volpiano. Il nonno Domenico – scrive il Corsera – è stato invece il capo della ‘ndrangheta di tutto il Piemonte e andava a braccetto con un boss del calibro di Antonio Pelle, ‘Ntoni Gambazza. Ma per anni lui e la sua famiglia hanno vissuto alle porte di Milano tra Buccinasco, Corsico e Cesano Boscone. E adesso le sue rivelazioni ai magistrati milanesi potrebbero provocare un terremoto. «Fino a due anni fa non pensavo minimamente di collaborare. In carcere è arrivato mio zio Domenico Marando (fratello del boss Pasqualino, scomparso e ucciso in circostanze misteriose, ndr ). Mio zio mi stava addosso, mi opprimeva. Si lamentava perché secondo lui stavo prendendo troppo sul serio la scuola e andavo troppo dall’educatrice». Agresta, spiegando il suo pentimento, parla anche di «valori»: «I valori e la vita in cui ero inserito erano tutti sbagliati. Prima pensavo che l’arresto di una persona fosse togliergli la libertà, in realtà non è così. Mentre facevo questo percorso, in carcere continuavo a ricevere le “doti” di ‘ndrangheta. Questa condizione ha iniziato a pesarmi, la vivevo come una maschera. Non sono una persona omertosa in grado di rispettare le regole della ‘ndrangheta. Ho senso di colpa per la morte di Trapasso». E spiega come, non sull’Aspromonte ma a Buccinasco, la ‘ndrangheta “educa” i suoi affiliati: «Io sono stato “fatto uomo” (battezzato nella ‘ndrangheta, ndr ) nell’aprile 2008. Devo dire però che anche prima e in tutta la mia vita ho “respirato” una serie di insegnamenti e valori che erano quelli tipici della ‘ndrangheta”. Intendo dire che a chi non è “uomo”, ovvero non è stato affiliato, non è possibile fare discorsi di ‘ndrangheta, però io avevo capito avendo vissuto fin da bambino in quell’ambiente che sia mio padre sia i miei parenti erano ‘ndranghetisti». Ora Agresta dice di aver scelto «la cultura e la giustizia»: «Non è facile tradurre a parole questo mio sentire, è come un’aria chiusa che si respira fin da piccoli».
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