ROMA A sera, quando i delegati hanno lasciato ormai da ore l’hotel a due passi da Villa Borghese, la parola scissione non è più un tabù tra i dem. Le truppe di Emiliano, Rossi e Speranza sono pronte a ufficializzare lo strappo dal Pd renziano. In settimana, con molta probabilità, arriveranno i gruppi parlamentari. Per ora il pallottoliere dice 40 alla Camera (compresi gli ex Sel), tra i 10 e i 15 al Senato. Alla presenza di Emiliano (mai dare per certe le mosse del governatore pugliese) sono legate altre sorprese numeriche. Il tormento dell’ex magistrato si chiama D’Alema, l’avversario con cui Emiliano ha combattuto in passato un’aspra guerra. Nella minoranza, però, fanno notare che questo non è il tempo dei risentimenti. E per questo si lavora alla costruzione di gruppi parlamentari più ampi possibili. Gruppi dove potrebbe trovare posto pure Alfredo D’Attorre, l’ex commissario del Pd calabrese. Non è un caso che al congresso di Sinistra Italiana, a Rimini, il deputato eletto in Calabria abbia presentato un ordine del giorno (poi bocciato) in cui chiedeva di «congelare» la fase costituente in attesa di vedere cosa decideranno Renzi e compagni.
Consumato lo strappo, per gli scissionisti guidati da Bersani e D’Alema si apre il problema della prospettiva politica. Da Rimini il neosegretario di Si Nicola Fratoianni fa capire che un’intesa è possibile solo staccando la spina al governo Gentiloni: «Se si produce una rottura nel Pd e si produce una rottura anche in Parlamento con nuovi gruppi parlamentari con cui voglio interloquire, questi nuovi gruppi alla prima fiducia sul governo Gentiloni cosa faranno? Quando arriverà in aula il decreto Minniti sulla sicurezza lo voteranno? Perché se lo faranno, la nostra interlocuzione con loro è già finita».
Insomma, sarà il provvedimento-monstre del ministro calabrese dell’Interno il primo banco di prova per valutare la fedeltà degli anti-Renzi al governo. E sarà importante capire come si regoleranno, al momento del voto in Aula, di fronte a un provvedimento che ha fatto breccia nel muro delle opposizioni, i calabresi Nico Stumpo e Doris Lo Moro.
Quanto ai fedelissimi del segretario dimissionario, c’è euforia per l’esito dell’assemblea nazionale. Il percorso congressuale è ormai avviato e da qui a maggio verrà completamente riscritta la geografia dem. L’obiettivo numero uno dei colonnelli calabresi è quello di guadagnare una candidatura in posizione vantaggiosa, meglio ancora in una delle caselle blindate previste dall’attuale legge elettorale.
Non esultano e nemmeno si stracciano le vesti, invece, gli autonomisti calabresi. Mario Oliverio preferisce mantenere un basso profilo e spera, in cuor suo, di raccogliere qualche frutto dallo scontro che si sta consumando ai piani alti. La nomina a commissario alla sanità è sempre in cima alla lista dei suoi desideri. Ma non è detto che l’atteggiamento da “pesce in barile” possa essere alla fine quello vincente.
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it
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