La sanità calabrese ha toccato il fondo del baratro. Gli ospedali scoppiano, sembrano lazzaretti o presìdi di fortuna. Sono eloquenti e ordinarie le immagini della calca infernale nelle sedi dell’emergenza e nelle corsie, della scarsa riservatezza per i malati e della ricorrente disumanità di trattamento, derivante dai tagli miliardari dovuti a politiche monetarie incoscienti e alla subordinazione dei diritti primari agli equilibri di bilancio.
In Calabria mancano più di 1200 sanitari per rispettare la normativa europea sui turni e i riposi obbligatori, in un mutismo diffuso quanto assurdo. Peggio, non sono stati rimpiazzati i 4mila e passa pensionati dal 2010, tra medici, infermieri e altre figure professionali.
Ogni discorso entusiastico si scontra perciò col vero: il diritto alla salute non esiste, e non potrebbe essere altrimenti. Non c’è personale, benché continuino la retorica dei soliti noti, il negazionismo d’ufficio e, dal palazzo, un pericoloso oscuramento dei fatti.
Accanto a un risaputo – e remoto – sistema clientelare e affaristico che in Calabria mortifica il lavoro di tanti addetti nella sanità pubblica, ci sono tre problemi, enormi e irrisolti, su cui il Consiglio regionale tace all’unisono: 1) l’entità del fondo sanitario che lo Stato trasferisce alla Regione, ogni anno inferiore di almeno 110milioni di euro; 2) l’assoluta infondatezza del Piano di rientro dal disavanzo; 3) l’illegittimità e inutilità del commissariamento, che peraltro non è valso a ripristinare la legalità perduta, focalizzata dalla commissione ministeriale d’inchiesta disposta in seguito alla morte dei minori Federica Monteleone, Flavio Scutellà ed Eva Ruscio.
Per l’articolo 120 della Costituzione, il governo può commissariare le Regioni al fine di adeguare «le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» a un minimo obbligatorio su tutto il territorio nazionale. In proposito ci sono due aspetti da evidenziare: 1) l’articolo 32 della Costituzione sancisce che la «Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti», con il che il diritto alla salute è configurato come pieno e irriducibile, anche per superiore interesse della collettività; 2) con i commissariamenti per il rientro dal disavanzo sanitario regionale non è possibile tutelare i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», perché il conseguente contenimento della spesa pubblica è di per sé antitetico rispetto alla tutela del diritto alla salute mediante l’imposizione di livelli minimi di prestazioni sanitarie, i quali scavalcano, a loro volta, il valore normativo e la portata dell’articolo 32 della Costituzione.
Il professor Ettore Jorio, in un interessante articolo apparso sul “Corriere della Calabria”, ha posto l’accento sul ripetuto sconfinamento di competenza da parte del commissario per l’attuazione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario calabrese, l’ingegner Massimo Scura, che, non si dimentichi, agisce insieme al sub-commissario, il commercialista Andrea Urbani.
In proposito sono intervenuta con tanti atti di sindacato ispettivo parlamentare, sempre ignorati dal governo, come nel caso dell’integrazione forzosa tra l’ospedale Pugliese-Ciaccio e il policlinico universitario di Catanzaro, oppure aggirati nel merito, come per l’estemporaneo annullamento della procedura di verifica del possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi della Cardiochirurgia dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Mater Domini”, che dalla Regione continua a percepire più di 8 milioni di euro all’anno oltre il dovuto, pur senza un protocollo d’intesa valido.
Per certo il commissariamento non ha eliminato in Calabria i vecchi vizi dell’amministrazione regionale, a partire dalle nomine illegittime. Per tutte, cito quella di Santo Gioffrè, su cui l’Anticorruzione e il Tar del Lazio hanno confermato le mie ragioni, e di Domenico Pingitore, che, per quanto analoga, è rimasta senza conseguenze.
La gestione commissariale ha creato in Calabria confusione, scambio di prerogative e di ruoli. L’accentramento, di fatto, dei poteri da parte dei commissari è stato ben tollerato dal tavolo interministeriale di verifica degli adempimenti, il che ho denunciato anche a livello penale. Ma va detto, e con chiarezza, che il commissariamento è illegittimo. Lo argomentai in una mia interpellanza urgente, cui rispose fuori traccia un allora imbarazzato sottosegretario (alla Salute) Vito De Filippo, che avrebbe voluto trovarsi in qualsiasi altro posto, ma non lì, davanti alla logica giuridica e alla verità.
Inoltre, va puntualizzato che la Calabria deve avere almeno 1,7 miliardi di euro dallo Stato centrale, se consideriamo quanto (di meno) la Regione ha ricevuto dal 1999 a oggi. Per la cura dei pazienti cronici la Calabria, che ha dati epidemiologici superiori alla media nazionale, ha avuto esborsi di gran lunga maggiori. Lo Stato ha ignorato e non ha trasferito le relative risorse. Occorre, allora, recuperare quei fondi e poi individuare un criterio oggettivo – e non discriminante per il Mezzogiorno – di ripartizione del Fondo sanitario alle Regioni, partendo dal quadro reale della morbilità e co-morbilità.
Per quanto esposto, lo stesso Piano di rientro è infondato: un credito con lo Stato per magia è stato trasformato in debito, per coprire il quale è stato contratto col Tesoro un mutuo trentennale di 900 milioni e sono stati spesi 1,1 miliardi del Fas, in origine destinati all’ammodernamento strutturale. Questo va partecipato ai più giovani, che si ritrovano a sostenere debiti perfino costruiti, a subire disservizi e ad emigrare per forza maggiore.
A ogni livello, la politica mantiene un silenzio tombale sulla causa prima dell’affossamento della sanità pubblica, calabrese e non solo, da cui discendono gli ingannevoli Livelli essenziali di assistenza, gli obblighi di equilibrio della finanza pubblica, l’illegittimo pareggio di bilancio inserito tra le norme costituzionali e la micidiale compressione della spesa, prevista col fiscal compact. Mi riferisco al sistema vigente della moneta, emessa dalla privata Banca centrale europea, che stampa denaro dal nulla e, come chiarito dal giurista Giacinto Auriti, ne ottiene dallo Stato il corrispondente valore nominale. Questa è una truffa colossale, che crea l’indebitamento infinito, la recessione senza uscita, gli ospedali dello squallore e lo smantellamento del servizio sanitario.
Non è più possibile, in conclusione, che la politica e i Franco Pacenza di turno discutano di nuovi ospedali, di livello di ospitalità dei pazienti o di chi deve essere il commissario per il Piano di rientro: se Scura, il governatore Mario Oliverio o, parafrasando un titolo di Hermann Hesse, «Il miglioratore del mondo». Il dibattito sulla sanità va portato sui temi cruciali, qui riassunti.
Nel concreto, su mia iniziativa il Movimento 5 stelle ha predisposto due leggi nazionali: la prima per istituire una commissione parlamentare d’inchiesta sui punti nascita in Calabria, su cui abbiamo presentato esposti penali riguardo alle verifiche effettuate; la seconda per ricuperare i miliardi (di euro) del Fondo sanitario che lo Stato deve alla Calabria e ad altre regioni, nonché per limitare, così privilegiando il diritto alla salute, l’imposizione del Piano di rientro e del regime di commissariamento delle Regioni.
Questa ultima è una proposta di legge, mi si passi, molto avanzata, in quanto recepisce il principio, stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 275/2016, per cui la tutela dei diritti è preminente rispetto al pareggio di bilancio. La stessa proposta prevede l’obbligo stringente, in capo al governo centrale, di procedere con urgenza per assumere il personale sanitario necessario a garantire il diritto alla salute, in relazione alla normativa sui turni e i riposi obbligatori di cui alla Legge n. 161/2014.
Mi appello al presidente Oliverio perché su quanto qui articolato non sia anc
ora distratto, sordo e sfuggente. Sono pronta a discuterne di persona, se non ha pregiudizi e se vuol mostrare coerenza tra il suo dire e fare.
*deputato M5s
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