REGGIO CALABRIA Il primo tempo va in scena tra le mura ovattate dell’Astronave, nel day after dell’assemblea che a Roma ha sancito, sostanzialmente, la scissione del Pd. Per il secondo, invece, bisognerà aspettare lunedì prossimo. Qualche notizia, però, dal vertice del gruppo dem in consiglio regionale, presente pure il segretario Ernesto Magorno, arriva. E riguarda soprattutto i toni felpati usati da Mario Oliverio nel corso del confronto con i consiglieri del suo partito.
Decibel limitati e lessico moderato hanno accompagnato la lunga replica del governatore alle critiche – caratterizzate da distinguo – che gli sono piovute addosso dai vari Battaglia, Bevacqua, Ciconte, Guccione e Scalzo. Gli ultimi tre sono tornati, ancora una volta, sulla vicenda della loro esclusione dai posti di governo per il deflagrare dell’inchiesta “Rimborsopoli”. Il ragionamento offerto è per certi versi semplice: la giunta dei prof arrivata dopo non sarebbe stata in grado di affrontare le emergenze sul tappeto, determinando un immobilismo che ora è sotto gli occhi di tutti i calabresi.
Oliverio non ha replicato sul punto, ma si sarebbe detto «consapevole» delle difficoltà rilevate. Un quadro non proprio esaltante, insomma. A cui si aggiungono le fibrillazioni romane del Pd. Deve essere per questo motivo che il governatore nelle ultime settimane è tornato a ripetere che «prima di tutto viene la Calabria». Un modo abbastanza esplicito per far capire che il rapporto col governo non sarà più quello di una Regione che cerca sostegno, ma quello di un ente che rivendica spazi e autonomia nei confronti del potere centrale. Ogni riferimento (voluto) è alla sanità e quell’incarico da commissario che Palazzo Chigi, e nello specifico la ministra Beatrice Lorenzin, non vuole affidargli.
Ma la nuova impostazione di Oliverio riflette anche la volontà di una ricollocazione all’interno del Pd, equidistante da Renzi e dagli avversari dell’ex segretario.
Al conclave dello stato maggiore dem avrebbero voluto partecipare anche i tre consiglieri del gruppo “Democratici Progressisti”, ma dal Pd la risposta è stata picche. «Se i Dp non abbandonano le presidenze delle commissioni e i benefit derivanti dal mantenimento in vita di un gruppo autonomo non se ne fa niente», è il ragionamento condiviso dai colonnelli dem. La risposta non si è fatta attendere: «Non ci pensiamo proprio a fonderci con loro. Avevamo chiesto di collaborare nel rispetto della nostra autonomia. In fondo siamo iscritti allo stesso partito e versiamo mensilmente al Pd la nostra quota».
Nel muro contro muro, l’ipotesi che prende corpo è un’altra: quella di un rafforzamento della collaborazione tra Dp e il gruppo “Oliverio Presidente”. Una federazione tra le due componenti di maggioranza per contrastare lo strapotere del Pd. Serve ai diretti interessati per acquisire maggiore peso contrattuale all’interno del centrosinistra, ma è utile anche a Oliverio: il governatore avrebbe un drappello di fedelissimi su cui contare. Soprattutto in tempi di navigazione in mare aperto. E cosa c’è di più incerto della stagione congressuale che sta per aprirsi nel Partito democratico?
Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it
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