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«L'agricoltura può salvare il Sud»

ROMA A Roma questo pomeriggio sarà presentato il primo rapporto Ismea/Svimez sull’agricoltura del Mezzogiorno, «che mette insieme in modo fruttuoso e convincente – spiega Nicodemo Oliverio, capogru…

Pubblicato il: 21/02/2017 – 8:22
«L'agricoltura può salvare il Sud»

ROMA A Roma questo pomeriggio sarà presentato il primo rapporto Ismea/Svimez sull’agricoltura del Mezzogiorno, «che mette insieme in modo fruttuoso e convincente – spiega Nicodemo Oliverio, capogruppo del Pd nella commissione Agricoltura a Montecitorio – due competenze complementari: quelle della Svimez, che da sempre ci offre ogni anno l’attento monitoraggio dell’economia meridionale e ci racconta come il nostro Sud si colloca nel quadro del sistema economico nazionale; e quelle dell’Ismea, che ha tutti gli elementi per avere il polso dell’andamento congiunturale dell’agricoltura, delle modalità con cui essa si integra con la filiera agroalimentare e della sua performance sul versante dei mercati e delle esportazioni».

Quali sono i dati più interessanti che vengono fuori dal rapporto?

«La lettura del rapporto è interessantissima e ci offre un quadro non del tutto scontato che, per una volta, autorizza qualche ottimismo sul futuro. Sappiamo tutti che il nostro Paese sta uscendo da una crisi profonda; anzi, come il rapporto ci ricorda, che tecnicamente ne siamo già usciti, con qualche segnale di ripresa, sia pur debole, che si registra nel 2014 e 2015 e nelle previsioni 2016. Sappiamo anche che sette anni di crisi hanno lasciato sul terreno quasi 10 punti di Pil, e che la crisi ha picchiato duro soprattutto al Sud, che ha visto ulteriormente allargarsi il divario rispetto al Centro Nord. Quello che forse sappiamo un po’ meno è che nel periodo di crisi l’agricoltura italiana ha avuto un ruolo anticiclico, in parziale controtendenza: ha certamente segnato il passo, ma senza perdere terreno come il resto dell’economia; anche se la tenuta complessiva si è avuta grazie all’agricoltura del centro-nord che ha compensato il non buono andamento di quella meridionale. Nel 2015 l’agricoltura va ancora meglio, segnalandosi tra i comparti protagonisti della ripresa, ma stavolta questo buon andamento si deve alla straordinaria performance dell’agricoltura del Mezzogiorno, che guadagna il un solo anno circa il 7% di valore aggiunto».



Davvero pensa che tutti i problemi siano stati superati?

«È ovvio che una tale performance ha in sé una componente congiunturale che sarà difficile consolidare in toto nei prossimi anni (specie se si ripresenteranno andamenti meteorologici avversi, malattie e calamità naturali) ma la distanza che ancora separa l’agricoltura meridionale da quella del resto del Paese è ancora talmente ampia che fa pensare a un grande potenziale inespresso da mobilitare e mettere a valore. Un caso tipico è quello delle esportazioni agroalimentari, che nell’ultimo anno hanno visto quelle meridionali aumentare a un tasso doppio (15%) rispetto a quello, pur ragguardevole (7,5%) dell’Italia in complesso. Ma che vede il Mezzogiorno contribuire solo per il 30% al complessivo valore esportato, una percentuale che scende al 15% per i prodotti trasformati: insomma, risultati buoni, ma ancora molta distanza da colmare. Stessa cosa sul fronte, ad esempio, degli agriturismi, una componente dinamica della cosiddetta multifunzionalità dell’agricoltura, che nel Mezzogiorno sono cresciuti di ben il 40% negli ultimi 10 anni, ma per i quali la quota di quelli dislocati nel Mezzogiorno non arriva al 20% del totale Italia».

In questo contesto, qual è lo stato di salute del Mezzogiorno?

«In quest’area si sconta un forte ritardo, nonostante sia evidente il vero e proprio giacimento di tipicità a cui si potrebbe attingere e che attende di essere valorizzato. Le notizie più confortanti si hanno sul fronte del credito e dell’occupazione: riguardo al credito agricolo, il Mezzogiorno cattura solo un quarto del totale nazionale, ma mostra una dinamica maggiore e, soprattutto, una migliore qualità, con un più contenuto tasso di sofferenza; riguardo all’occupazione, la componente giovanile in agricoltura è cresciuta bene nel 2015, forse anche grazie alle politiche di primo insediamento messe in campo negli ultimi anni: +11% nel 2015 a livello nazionale, addirittura + 13% nel Mezzogiorno: ma sappiamo che si può e si deve fare molto di più, perché gli indicatori di invecchiamento sono preoccupanti e il ricambio generazionale rimane ancora insoddisfacente In conclusione, il rapporto Ismea/Svimez ci racconta di un’agricoltura meridionale che in questi anni potrebbe candidarsi a settore protagonista del riscatto dell’area, sempre che si riesca a mettere a sistema e a valore le enormi potenzialità inespresse che in essa ancora sono intrappolate».

Si fa un gran parlare del rilancio del settore agricolo. Ma come si tutelano gli operatori se addirittura si fa fatica a riconoscere uno stato di crisi dopo un terremoto o una violenta alluvione?
«Dopo l’eliminazione dell’Imu e dell’Irap, dopo il successo conseguito in Unione Europea con l’etichettatura del latte e dei prodotti lattiero-caseari, l’ultima manovra finanziaria ha riconosciuto all’agricoltura il suo ruolo strategico nell’economia del Paese: settore produttivo avanzato chiamato a rappresentare il Made in Italy nel mondo, presidio fondamentale contro lo spopolamento delle aree rurali marginali, strumento di tutela della natura e dell’ambiente e di conservazione delle specie varietali tipiche del Paese».

È sempre convinto che l’agricoltura possa risollevare l’economia italiana?
«La priorità per l’Italia è tornare a crescere almeno ai ritmi precedenti alla crisi. In tale contesto il settore agricolo è la cartina di tornasole di un profondo mutamento del Paese. L’Italia sarà sempre più identificata per le caratteristiche della sua agricoltura; i risultati raggiunti e che raggiungerà faranno da traino all’intera economia».

L’altro settore trainante potrebbe essere quello vitivinicolo. Il nostro Paese può essere considerato all’altezza delle realtà più virtuose?
«Sul vino l’Italia ha una legge aggiornata che regolamenterà in modo razionale il settore vitivinicolo. Per la prima volta nella sua storia, a cinquant’anni dalla nascita della prima Doc e a trent’anni dallo scandalo del metanolo, questo Parlamento con il Testo Unico sul vino fornisce gli strumenti efficaci per sostenere in concreto la competitività del vino italiano nei mercati internazionali. Uno degli obiettivi prioritari della legge, abbattere i cavilli burocratici che appesantiscono e tolgono energie alla produzione con la conseguenza di inutili oneri a carico delle imprese agricole. Una semplificazione che va anche ad aumentare l’efficacia dei sistemi di controllo, una semplificazione che andrà a braccetto con la qualità delle nostre produzioni, qualità ormai famosa in tutto il mondo».

Resta sempre la piaga del caporalato…
«Il Parlamento, dopo un lungo lavoro di audizioni e di studio, ha approvato una legge, dalla portata rivoluzionaria sul caporalato. La legge prova seriamente e duramente a colpire il caporalato, un fenomeno in aumento, diffuso in tutte le aree del Paese, in tutti i settori dell’agricoltura, molto diversi tra loro dal punto di vista della redditività. Ci sono altri dati agghiaccianti sui quali vale la pena soffermarsi: rispetto al 2014 altri cinquantamila nuovi “fantasmi in nero” lavorano nei nostri campi, contribuendo ad affermare la nostra agricoltura nel mondo. Si tratta di decine di migliaia di persone, quasi tutte “invisibili”, private da qualsiasi diritto e garanzie, escluse dalla previdenza e assistenza. Escluse dalla vita, spesso buttate in braccia alla morte».

an. ri.

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