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I riflessi della crisi Pd a Catanzaro

Sono fermi ai box pronti per far scaldare i motori i candidati a sindaco di Catanzaro. Attendono gli ultimi interventi dei meccanici per una messa a punto prima di recarsi sulla griglia di partenza…

Pubblicato il: 22/02/2017 – 9:47

Sono fermi ai box pronti per far scaldare i motori i candidati a sindaco di Catanzaro. Attendono gli ultimi interventi dei meccanici per una messa a punto prima di recarsi sulla griglia di partenza e affrontare la gara. Tutti sul circuito di primavera reso ancora più difficile a causa delle carenze che si stanno manifestando nel Pd con l’ormai prossima frattura di alcuni big storici del partito, ma anche nello schieramento (opposto?) di destra che non trova la quadra per un accordo politico con Salvini.
Stante la situazione appare sempre più possibile che i motori continuino a rombare pur rimanendo dentro i box nell’attesa che si accenda il verde che li chiami a raccolta per il giro di prova. Tattica? Si, ma forzata. E quel che è peggio senza comprendere che il Paese e soprattutto il Mezzogiorno in un momento così delicato per gli equilibri europei, di tutto avrebbe avuto bisogno tranne che di un indebolimento del sistema politico. Ma chi avrebbe dovuto capirlo? Renzi? I suoi uomini della Leopolda? Sarebbe equivalso come pretendere troppo. Tanto è vero che il loro comportamento prima, durante e dopo l’Assemblea di partito sta a dimostrare che al primo posto esiste un unico, condiviso interesse con il capo: continuare a gestire il potere. Tutto il resto, come diceva un famoso ritornello, è poesia.
Gli italiani lo hanno capito quando non è stato mosso un dito per evitare le dimissioni di Renzi pur sapendo quale svolta avrebbero determinato il Congresso col rito abbreviato, come lo ha definito Emiliano; le primarie; Mettere alla porta la sinistra del Partito; il Governo; il Parlamento; l’Italia. Nessuno ha fatto nulla, nessuno ha dimostrato di avvertire il bisogno di tentare di percorrere la strada del componimento. Mettere alla porta la sinistra è sembrato più un gesto liberatorio piuttosto che una scelta politica. E, a posteriori, si spiega anche il perché. Se, infatti, fossero state considerate le conseguenze di quello straziante silenzio cucito sulla bocca di tutti i maggiorenti del Pd, oggi si sarebbe detto che al danno si sarebbe aggiunta la beffa almeno nei confronti del Segretario che evidentemente aveva fatto intendere che era consigliabile di non lasciarsi andare a sentimentalismi e lusinghe. Così stando le cose non farà più tanta impressione agli italiani il fatto che, prima o dopo (più prima che dopo!) anche a Gentiloni arriverà il fatidico “stai sereno”.
Si è capito che tentare di superare un periodo particolare, di sperare in una riconciliazione per ricompattare il partito, avrebbe nuociuto solo al Segretario perché quanto meno avrebbe dovuto riconsiderare i rapporti interni con chi è critico con il suo modo di governare il Partito e il Paese e, sin da subito, la fase delle Amministrative di primavera che, com’è noto, interessano anche il capoluogo della Calabria. Non è stato sufficientemente capito che affrontarle dopo una scissione, anzi dopo la frammentazione, perché di questo si tratta, può equivalere ad un suicidio. Ma come si sa le sconfitte scivolano su Renzi come la pioggia sull’ impermeabile. Non è possibile che abbia potuto dimenticare cosa è accaduto il 4 dicembre, quando il giovane capo del governo non si è reso conto, o non si è voluto rendere conto, degli effetti del voto referendario; di quella che fu una vera disfatta per la sua persona. Allora come ora continua a fingere di non considerarlo nei giusti parametri. Certamente, si è dimesso il giorno dopo da capo del Governo, ma continua a non voler intendere che gli Italiani hanno detto di “No” a lui, alla sua politica interna ed estera, al suo istrionismo, ai suoi atteggiamenti esageratamente teatrali. Al Referendum abrogativo di una parte della Costituzione è stata riservata una parte marginale del voto. L’Italia il 4 dicembre 2016 ha detto “No” a Renzi!
Ma di tutto ciò il giovane puledro toscano sembra non curarsi. Forte dello strapotere di cui dispone nel partito si permette anche di essere iattante dicendo che “bisogna rispondere con un sorriso” piuttosto che mettersi da parte, fare un passo indietro, e aspettare tempi migliori per riproporsi a governare il Paese come avrebbe fatto qualsiasi altro politico di buon senso per dimostrare compiutamente che prima bisogna avere a cuore il Paese e dopo la propria carriera. E all’Italia, in un momento così delicato, in cui forze antidemocratiche tentano di coalizzarsi per impossessarsi del potere, un Partito democratico unito avrebbe fatto da argine. Comodo anche per costituire maggioranze e governare il territorio delle Regioni.
L’ex segretario del Pd, invece, ha dimostrato che questi valori non gli appartengono, forse li considera obsoleti. Tutti, a giudicare dai fatti, tranne uno: la sua persona, fino alle estreme conseguenze, anche quando ciò può comportare l’indebolimento del partito, quello di cui lui dice di essere il “mio partito”. In una valutazione ha ragione, quando afferma che il Pd è la più grande organizzazione politica democratica di centro-sinistra in Europa.
Rimane da chiedersi se nel Paese, ancora di più nelle secche di una crisi politico-amministrativa, le conseguenze di quelle scelte, consegnate agli Italiani dalla diretta della 7 e dai telegiornali di tutte le emittenti pubbliche e private, possano fare giustizia di quanti, con estrema superficialità, hanno deciso di puntare al voto subito dimostrando di professare una ben determinata fede politica.
Intanto i Cinquestelle ringraziano!

*giornalista

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