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'Ndrine in Emilia, condannati i boss che volevano uccidere il giornalista Tizian

BOLOGNA Non solo un gruppo che guadagnava illecitamente con le slot e il gioco, ma un’associazione mafiosa radicata in Emilia-Romagna. Lo sancisce il primo grado del processo “Black Monkey”: il tri…

Pubblicato il: 22/02/2017 – 21:06
'Ndrine in Emilia, condannati i boss che volevano uccidere il giornalista Tizian

BOLOGNA Non solo un gruppo che guadagnava illecitamente con le slot e il gioco, ma un’associazione mafiosa radicata in Emilia-Romagna. Lo sancisce il primo grado del processo “Black Monkey”: il tribunale di Bologna, accogliendo per buona parte l’impostazione della Procura, ha inflitto quasi 170 anni di pena ai 23 imputati. La condanna più alta, 26 anni, al capo dell’organizzazione, Nicola Femia, in carcere dall’arresto nel 2013 e presente a quasi tutte le udienze; non alla lettura della sentenza. C’era invece Giovanni Tizian, giornalista di origini calabresi che con i suoi articoli per la Gazzetta di Modena, Femia lo fece arrabbiare. A fine 2011, in una conversazione intercettata dalla Guardia di Finanza con un altro imputato, fece riferimento alla possibilità di chiudere la bocca al cronista, sparandogli. Per Tizian, messo sotto tutela per le intimidazioni, i giudici hanno disposto un risarcimento da 100mila euro, 50mila al consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti. Il fatto che il reato di associazione mafiosa sia stato riconosciuto «in Emilia-Romagna, in un territorio non tradizionale, è un grande passo in avanti», ha detto il giornalista, ora all’Espresso, uscendo dal tribunale. Risarcimenti che superano i centomila euro sono andati anche a varie parti civili, enti, associazioni, tra cui Libera, presente oggi in aula con il suo presidente, don Luigi Ciotti e alle udienze con una folta rappresentanza di giovani.
La somma più significativa è andata alla Regione Emilia-Romagna, un milione di euro. Condanne elevate sono state inflitte anche ai figli di Femia, Nicola Rocco Maria (15 anni) e Guendalina (10 anni e tre mesi) e al genero Giannalberto Campagna, 12 anni e due mesi. L’associazione ‘ndranghetistica era contestata dal Pm Francesco Caleca a 14 imputati, considerando anche i concorrenti esterni: non per tutti è stata riconosciuta dai giudici, che ne hanno assolti cinque dal reato di associazione mafiosa. Dopo quasi tre anni di dibattimento, bisognerà attendere sei mesi per conoscere il ragionamento del collegio. La Procura ha comunque vinto la sua sfida, almeno in attesa dell’appello. Fino ad ora in questo procedimento, prima che esplodessero le indagini di “Aemilia” il più importante per mafia in una regione poco abituata a processi di questo tipo di criminalità, il reato più grave non aveva tenuto: gli imputati che avevano optato per l’abbreviato hanno visto confermare condanne dalla Cassazione, che però non ha riconosciuto l’associazione mafiosa, come in precedenza non fece il tribunale del Riesame. Il pm ha però insistito, soffermandosi nella sua requisitoria su un potere intimidatorio autonomo del gruppo, tipico a suo avviso delle nuove formazioni di ‘ndrangheta, presenti nelle regioni del Nord.

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