Riflettere sui cambiamenti che interessano la sinistra politica, nel Paese come in Europa, risulta oggi opportuno per offrire un quadro di valutazioni idoneo ad affrontare, teoricamente e praticamente, le moltissime fratture (vecchie e nuove, nominalistiche e sostanziali) che da lungo tempo (almeno 26 anni) si sono prodotte accompagnandosi sempre a varie scomposizioni e ricomposizioni delle organizzazioni partitiche e del ceto politico che a questa cultura si sono richiamate e si richiamano (centro-sinistra ulivista, sinistra radicale, riformismo laico, per solo alcuni profili il renzismo).
Si tratta di una cultura che ha ben chiara la propria alternatività rispetto agli orientamenti e alle declinazioni della destra politica (moderata, estrema e populista).
La cultura della sinistra individua le proprie origini nella progettazione strategica della eguaglianza sostanziale dei soggetti, accompagnata al massimo sviluppo della loro libertà.
In tale progettazione la sinistra storicamente si pone come alternativa alla cultura liberale e liberistica (ma anche a quella ordo-liberista, che è la dottrina applicata dalla attuale leadership delle istituzioni Ue con esiti sotto molti profili fallimentari).
Se questo costituisce un possibile, primo, inquadramento della cultura politica della sinistra italiana e del centrosinistra, prima e dopo la caduta della cosiddetta Prima Repubblica, venticinque anni fa, nel febbraio 1992, l’attualità di questi giorni gira in modo piuttosto frenetico intorno alle prospettive del Pd, del renzismo, della sinistra storica, della forma-partito e delle varie dinamiche fra i numerosi attori e numerose istituzioni nazionali coinvolte nella forma di governo parlamentare che tuttora regge la Repubblica.
Nel 2007, sulle ceneri dell’Ulivo (al governo tra il 1996 e il 2001) nasceva il Pd con la segreteria di Walter Veltroni, con l’obiettivo dichiarato di unire le culture politiche “riformiste” (laica, cattolica e ex-comunista) in una forza politica nuova che strutturasse una forma-partito che esprimesse una cultura e un programma di centro-sinistra (con o senza trattino, e relative discussioni).
Per alcuni – una minoranza – quella operazione era destinata fin dall’inizio al fallimento, mentre per altri quella operazione meritava fiducia, potendo contare su una ragionevole prospettiva politica (lo stesso Grillo in quella fase chiese la tessera del Pd, unitamente a molti intellettuali, imprenditori e opinion leaders). Questa forma-partito subisce una forte torsione con il renzismo (categoria del “nuovismo realizzato”) che, negli anni 2011-2013, imprimerà nella leadership e nei programmi del Pd una linea che condurrà all’allontamento dal progetto originario, stante i risultati elettorali dell’”Italia Bene comune” (febbraio 2013).
Le letture del processo sono diverse e si svilupperanno, in crescendo, nella fase realizzativa del progetto (dal 2014 al 2016), nella quale fase alcuni hanno assunto che il renzismo fosse il “tradimento” dell’originaria vocazione ulivista/riformista del Pd, mentre per altri il renzismo era il compimento di una strategia già contenuta nel progetto originario del Pd (rapporti impresa/lavoro, rapporti governo/sindacati, spese pubblica e politiche sociali, ecc.).
E da dire che per storia i problemi politici italiani sono sempre stati scomponibili in un livello nazionale ed in uno locale rispetto ai quali le strategie e le leadership si sono anche molto differenziate. Tuttavia, è ben evidente come sia sempre il livello nazionale a trainare quello locale, per cui appare non utile attardarsi sulle dinamiche locali (ceto politico, strategie, ecc.) per soffermarci con qualche sottolineatura sul solo dato nazionale ad oggi palese (certo complesso, ma per alcuni profili anche chiaro).
Il dato nazionale, secondo chi scrive, ha subìto un tornante rilevante con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha azzerato le ambizioni del renzismo come “nuovismo realizzato”, per qualcuno inquadrabile con le categorie del futurismo costituzionale (anche in combinato disposto con il testo originario dell’Italicum).
Dopo quel referendum, è ora opportuno chiedersi quale e quanto spazio abbiano nella ricomposizione delle forze politiche e culturali una politica di sinistra e una cultura politica rispondente al quadro richiamato in apertura.
Lo sviluppo accelerato di questi ultimi giorni sta attivando variegate e interessanti discussioni su questo punto con l’attivazione di nuove forze e di nuovi gruppi parlamentari che nascono dal superamento del renzismo fattualmente avvenuto nel dicembre 2016 (il cui futuro è rimesso alle determinazioni politiche del congresso nazionale del Pd).
Quali le idee-forza per queste discussioni e per queste ricomposizioni politiche del quadro nazionale? Se il referendum costituisce davvero un tourning point della vita politica collettiva, dal punto di vista della sinistra, le idee-forza da tematizzare da parte di chi voglia collocarsi nella prospettiva di una cultura di sinistra (politicamente autentica e culturalmente innovativa), appaiono – a chi ora scrive – le idee-forza riconducibili al progetto costituzionale della “democrazia progressiva”, che si compendia negli obiettivi della democrazia sociale, della democrazia politica e del libero sviluppo della persona umana, dibattuti e approvati in sede di Assemblea Costituente settanta anni fa. Era il 27 dicembre 1947!
Le prime due idee-forza attengono evidentemente al valore costituzionale dell’eguaglianza e al ruolo dello Stato (che deve essere un ruolo forte di garanzia, di redistribuzione e di coesione nazionale); la terza attiene al valore della libertà nella sua dimensione individuale e collettiva.
*Costituzionalisti Unical
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