LAMEZIA TERME «La famiglia Giampà è stata sostanzialmente disarticolata ma non completamente perché i reati per cui oggi è stata eseguita l’ordinanza di custodia cautelare sono reati fine aggravati dalle modalità mafiose ma compiuti dall’ultima generazione che ha preso il posto dei soggetti che sono detenuti al 41 bis o che, nel frattempo, sono diventati collaboratori di giustizia”. Lo ha detto, il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri nel corso della conferenza stampa sull’operazione “Nuove leve”, che ha portato a misure cautelari per 12 persone accusate di essere legate alla cosca Giampà di Lamezia Terme.
Nonostante i duri colpi, i numerosi arresti degli ultimi anni, con operazioni come Medusa, Medea, o Perseo, e le condanne inflitte a boss e sodali, la cosca Giampà non si è mai fermata. Nuove leve, giovanissime, portavano avanti l’attività del clan, in particolare le estorsioni, un modus operandi, ha sottolineato il procuratore Gratteri, «tipico per mantenere l’egemonia e il controllo sul territorio». Gratteri ha spiegato come «anche quest’ultima generazione era organizzata secondo il codice e le strutture tipiche della ‘ndrangheta».
Un lavoro certosino è stato fatto dagli agenti di polizia del commissariato di Lamezia Terme, e della Squadra mobile, nel trovare riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Lavoro che si è avvalso anche di intercettazioni ambientali in carcere.
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LITI PER LA GESTIONE DELLA BACINELLA Ci sono diversi elementi che, dice il procuratore Gratteri, rappresentano la prova dell’esistenza del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, addebitata agli indagati tratti in arresto. Non solo vi è un’organizzazione che segue il codice e le strutture della ‘ndrangheta, ma «anche in questo caso ci sono grandi discussioni all’interno dell’organizzazione soprattutto sulla gestione della bacinella e sul ruolo del contabile all’interno del locale di ‘ndrangheta. E proprio la gestione non corretta della bacinella è la causa dell’inizio della guerra all’interno della cosca. La violazione delle regole per la gestione della bacinella ha portato alle decine di omicidi degli ultimi anni». Gli attriti per la bacinella erano emersi già nelle indagini che nel 2013 portarono all’operazione “Perseo”, spiega il procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri. All’epoca si incrinarono i rapporti tra il reggente Giuseppe Giampà, oggi collaboratore di giustizia, e il boss Vincenzo Bonaddio accusato di adoperare la bacinella a proprio uso e consumo. Dopo questi attriti ci fu una divisione con nuove affiliazioni da parte di Giuseppe Giampà.
I RISULTATI DEL 41 BIS Dopo il pentimento di Giuseppe Giampà, assunse un ruolo apicale all’interno della cosca Domenico Giampà, alias “Buccacciello”. Dal 2016 anche lui e Pasquale Giampà, classe 64, sono collaboratori di giustizia e hanno fornito agli inquirenti «nuove letture interne sulle dinamiche del clan», ha detto il procuratore aggiunto. In particolare, Domenico Giampà ha spiegato come fosse riuscito ad assumere un ruolo di rilievo nella ‘ndrina in seguito alla collaborazione di Giuseppe Giampà e al fatto che molti capi fossero stati destinati al 41 bis. Buccacciello ha raccontato come dal carcere riuscisse a colloquiare con l’esterno, a ordinare le estorsioni, indicare le affiliazioni e le nuove doti di ‘ndrangheta, e individuare i nuovi bersagli ai quali estorcere denaro per mantenere i detenuti del clan.
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Un dato, quello della gestione degli affari anche dal carcere, confermato dal capo della Squadra Mobile, Nino De Santis, che ha raccontato come Vincenzo Giampà, detto “il Camacio”, facesse attività di proselitismo all’interno del carcere. E non solo, ha spiegato De Santis «il meccanismo della bacinella ha rischiato di provocare ulteriori conflitti nella cosca Giampà, ma le pretese di denaro, anche minime, le 50 euro chieste agli ambulanti durante le feste patronali, erano un modo per controllare il territorio».
«Oggi – ha detto Bombardieri – è stato assestato un colpo molto forte a soggetti affiliati dal 2011 che hanno proseguito l’attività della cosca in assenza dei capi. È un buon punto di partenza per legalizzare il territorio. Lamezia Terme ha la possibilità di ribellarsi a un crimine che non è più storicizzato. Le nuove affiliazioni sono state azzerate e questo ci fa ben sperare per il futuro».
«La migliore ricetta per ottenere risultati come quello odierno – ha concluso il dirigente del commissariato di Lamezia, Antonio Borelli, è di lavorare insieme». E a questo scopo ha contribuito anche il supporto della Procura di Lamezia Terme, guidata dal procuratore facente funzioni Salvatore Curcio.
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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