REGGIO CALABRIA Vittima di un complotto ordito dalla magistratura reggina al solo fine di indurlo a collaborare. Vittima di un’interpretazione volutamente distorta delle conversazioni intercettate. Vittima persino di quelli che anni di indagini hanno fatto emergere come i suoi principali punti di riferimento. Così si dipinge l’avvocato Antonio Marra, per lungo tempo intimo amico di Paolo Romeo e considerato dalla Dda il suo principale braccio operativo, dal luglio scorso in carcere per una serie di accuse che vanno dalla turbativa d’asta, alla violazione della Legge Anselmi, passando per reati di mafia.
VELENI Assurdità per Marra che si presenta all’interrogatorio del 1 febbraio scorso da solo, rinunciando persino ad essere assistito dai suoi legali di fiducia. Quel giorno i due avvocati non hanno la possibilità di essere a Prato, ma il loro assistito Marra ha voglia di parlare. E di fronte al pm Giuseppe Lombardo è un fiume in piena, che più di una volta deborda e rompe gli argini, evocando fantasmi e complotti ai suoi danni su cui pretende che si indaghi. Si scaglia contro la Dda, «la quale – dice il legale – ha ritenuto che il mio arresto per gravi reati, vista la mia empatia verso le istituzioni, mi avrebbe indotto a collaborare per riempire e corroborare l’impalcatura accusatoria risultante carente in molti punti, sottovalutando per come prima detto che io non sono a conoscenza diretta di fatti penalmente rilevanti, quindi impossibilitato ad esaudire tali aspettative della Procura».
«PAOLO MI HA PLAGIATO» Ma fra accuse infondate, falsità e velenose verosimiglianze, Marra qualcosa di interessante lo dice. Per la prima volta da quando è finito dietro le sbarre, il legale sembra prendere le distanze dall’ex deputato del Psdi Paolo Romeo, oggi considerato vertice della direzione strategica della ‘ndrangheta reggina. «Se io ho sbagliato la mia valutazione nei confronti di Paolo Romeo – dice Marra al pm Lombardo – e questo può essere reato, condannatemi, ma io mi ero convinto della sua teoria, mi ero fatto plagiare da quello che lui mi raccontava, lo scopriremo più avanti quando voi proverete che lui è quello per il quale è accusato, ma che io avessi contezza che lui potesse essere quella persona che oggi è accusata a Mammasantissima, piuttosto che a Reghion, piuttosto che in altri processi, io non ce l’avevo».
EQUIVOCI Insomma, nonostante passasse con lui la maggior parte del tempo che trascorreva a Reggio, avesse con lui un rapporto diretto e confidenziale e lo accompagnasse in più di un affare, Marra – afferma – non si sarebbe mai reso conto della caratura criminale di Romeo. Eppure, proprio in quegli anni il chiacchierato collega incassava una condanna definitiva per mafia, sulla base di indagini che ne hanno descritto il ruolo chiave in vicende che vanno dalla guerra di mafia alla strategia della tensione. Per l’avvocato Marra, sarebbe stato tutto dovuto ad un equivoco. «Perché dai fatti che lui mi aveva raccontato – ci tiene a sottolineare il legale oggi indagato – io insistevo sempre che doveva chiarire la sua posizione».
«IO NON SONO COME TE» Tuttavia, ci tiene a specificare Marra, non sarebbe vero – come intercettazioni e indagini attestano – che i loro rapporti fossero solidi e di chiara subordinazione gerarchica. E al riguardo ricorda un episodio del 2013. «La Guardia di Finanza fa l’indagine, fa il monitoraggio della Festa del Mare del 2013 e io non ci sono, perché io… e c’è la motivazione nelle intercettazioni, perché io dico tu puoi fare quello che vuoi, ma non puoi fare manifestazioni a debito, perché se tu hai fatto una manifestazione di centoquarantamila euro oggi e ancora gli dobbiamo dare mille euro a quelli dei pesci della prima manifestazione, ma che senso ha, è una stronzata». A suo dire, per questo si sarebbe allontanato, dicendo chiaramente a Romeo «non sono come te che lasci i debiti e via, perché se ho preso impegni con una persona è giusto che io la paghi, anche se poi non ci sono i soldi».
«RIVOLGITI ALLA PROCURA» Allo stesso modo – aggiunge, finendo per contraddirsi sull’asserito raffreddamento dei rapporti con l’ex deputato del Psdi – proprio lui, solo qualche mese prima di essere arrestato, avrebbe tentato di convincere Romeo a rivolgersi alla procura per chiarire il suo ruolo. Operazione già tentata all’epoca del processo Meta, ma poi saltata a causa del rifiuto di Romeo a rendere dichiarazioni formali.
RAPPORTI DI LAVORO Con l’avvocato Giorgio De Stefano invece – sostiene Marra – il rapporto era sì datato – «l’ho conosciuto nel 1985, in un processo che si chiamava… per tentato omicidio, mio esordio in Corte d’Assise, lui era parte civile», ricorda – ma estremamente superficiale. Al termine di quel procedimento si sarebbero persi di vista per anni, per poi rincontrarsi solo anni dopo, sempre per questioni di lavoro. La moglie dell’avvocato De Stefano avrebbe scelto proprio l’azienda di Marra per dei lavori di ristrutturazione. Per questo – sostiene Marra – agli atti in quel periodo risultano innumerevoli telefonate.
IO NON C’ERO E quelle in cui gli investigatori li ascoltano darsi un appuntamento? «Una volta – sostiene Marra – mi telefona e mi dice: “dove sei?” E io gli dico “sono al circolo Posidonia con Paolo Romeo che stiamo preparando la Festa del Mare”. E lui mi dice: “Sto arrivando”. Dopodiché io, dottore, siccome, ripeto qua tempo io ne ho e anche assai…prendete i fotogrammi, lui arriva dopo che io me ne sono andato dal circolo…io non l’ho aspettato perché io non avevo nessun motivo». Peccato però che poi lo stesso Marra si contraddica: «Lui chiama me per dirmi… e io gli dico dove sono. Lui viene in azie… siamo al circolo e io gli dico: “cammina andiamo in azienda che ti regalo una bella cosa” e gli regalo una pianta, ma per una… forse ha speso qualche trentamila euro all’epoca di lavori e andiamo al capannone da me».
E SE C’ERO NON SENTIVO In un’altra occasione invece «lui – ricorda Marra – viene al capannone da me e mi dice: “Paolo?” e gli dico “aspetta che lo chiamo”, ma mai pensando a chissà che». Alla successiva conversazione – sostiene l’avvocato interrogato – lui avrebbe assistito ma senza realmente partecipare «perché io non avevo idea, non mi interessava». Per Marra sono tutte coincidenze, casualità, elementi inanellati per incastrarlo. A suo dire, completamente falsi.
LA SCALATA ALL’ENTE PARCO A sostegno della tesi di totale estraneità ai fatti contestati, l’avvocato ricorda caustico: «C’è un’intercettazione dove dico che sono tre anni che non riesco a comprarmi un paio di scarpe e ho le scarpe bucate. Quindi io sono così bravo a frequentare tutta questa gente, tutti questi soldi e io non avevo i soldi per comprarmi le scarpe». È vero ammette, nel 2011 avrebbe fatto la campagna elettorale «con Alberto Sarra, con Elio Belcastro, con l’avvocato Paolo Romeo, con Nuccio Idone e compagnia bella» per poter chiedere qualche favore. «Parlando con Alberto Sarra e col senatore Mauro» – ricorda – avrebbe sollecitato la nomina a commissario dell’Ente Parco Nazionale d’Aspromonte che «avrebbe significato per me – sottolinea Marra – non dovermene andare da Reggio, avere uno stipendio, interessarmi di una cosa che mi piaceva molto, ma la cosa non si è verificata perché alla fine io non sono funzionale ai sistemi e nessuno mi ha mai dato nulla, perché non mi… non potevano nominarmi commissario dell’Ente Parco e poi magari dirmi assumi a tizio, perché io non sono disponibile».
CANE DEL MACELLAIO Su di sé, Marra afferma: «Io sono per le regole, non sono per fare intrallazzi o per fare altre cose, tutto questo è», per poi smorzare i toni fin troppo netti «”io – dice citando un vecchio detto calabrese – sono come il cane del macellaio, sporco di sangue ma sempre morto di fame”, nel senso mischiato dappertutto, interessato dappertutto
, ma alla fine senza niente da nessuno». Per questo, quel gruppo non avrebbe avuto alcuna fiducia in lui. «Nel 2005, ora non so quando è stato, ho fatto la campagna elettorale a Pietro Fuda come responsabile della sua segreteria» ricorda Marra, invitando il pm a cercare «un’intercettazione che ha pubblicato “Il Dibattito”, nel quale… io non so dov’è, dove sarà, come sarà, dove Pietro Fuda dice: “all’avvocato Marra non gli do nessuno incarico perché lui ci porta la Dia dentro».
MILLANTERIE Un dato che a suo dire dimostra quanto poco di lui si fidasse quel gruppo, peccato che sia stato lo stesso Marra a negare di aver mai avuto alcun rapporto da confidente con qualsivoglia forza di polizia. L’avvocato – ammette nel corso dell’interrogatorio, smentendo una serie di circostanze millantate al telefono – non ha mai incontrato il generale Mori e il capitano Ultimo, tanto meno è mai entrato gridando nell’ufficio del procuratore Francesco Mollace, all’epoca a Reggio. False – confessa Marra – sono anche un paio di esperienze messe in curriculum, come la partecipazione ad un convegno sull’ambiente, funzionale alla nomina all’Ente Parco, e un incarico da professore «nell’università di Don Pino, che non è vero».
MARRA L’INGENUO Del controverso sacerdote, per decenni canonico di Polsi, Marra dice «spero di essere ancora amico, non lo so, dopo tutto questo». Anche lui però, lo avrebbe tradito. O almeno questo sostiene il legale. «Io faccio conoscere Don Pino con l’avvocato Paolo Romeo..(inc.le)… giuro che io ho appreso dalle carte che Don Pino Strangio fa parte dell’Igea. Quello è un fatto avvenuto tra lui e l’ingegnere Idone ed io non ne er… non ne ero assolutamente a conoscenza». Lui, sostiene, non ha mai dubitato di nessuno, non si è mai accorto di nulla di strano. Ma per gli investigatori che hanno raccolto gli elementi a suo carico, i pm che li hanno messi insieme e i giudici che hanno valutato il quadro complessivo non sembra affatto così.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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