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NUOVE LEVE | L'omicidio sventato dopo il patto sul racket

LAMEZIA TERME I rapporti tra Giuseppe Giampà e suo zio Vincenzo Bonaddio, col quale divideva la reggenza del clan, si erano spesso mostrati difficili. Anche prima della rottura definitiva a causa d…

Pubblicato il: 25/02/2017 – 13:59
NUOVE LEVE | L'omicidio sventato dopo il patto sul racket
LAMEZIA TERME I rapporti tra Giuseppe Giampà e suo zio Vincenzo Bonaddio, col quale divideva la reggenza del clan, si erano spesso mostrati difficili. Anche prima della rottura definitiva a causa della gestione della bacinella delle estorsioni, le differenze di vedute tra zio e nipote si erano più volte manifestate. Un episodio emerge, tra gli altri, e viene riportato nelle carte dell’inchiesta della distrettuale antimafia di Catanzaro “Nuove leve”, che venerdì ha portato all’arresto di 12 persone ritenute attive nel clan Giampà.
Giuseppe Giampà aveva dato ordine dal carcere di uccidere Ottorino Rainieri, elemento di spicco della consorteria Cerra-Torcasio-Gualtieri, rivali dei Giampà. Ma il collaboratore di giustizia Giuseppe Catroppa racconta di quando, poco prima dell’operazione “Medusa” – che nel 2012 assesta un duro colpo contro la cosca Giampà – Vincenzo Giampà, detto “Camacio”, gli aveva riferito l’intenzione di Bonaddio di «di stabilire – si legge nelle carte dell’inchiesta “Nuove leve” – un contatto con Ottorino Rainieri, Nino Cerra classe 91 e Angelo Francesco Paradiso, adepti della cosca Cerra-Torcasio-Gualtieri, al fine di concordare la spartizione delle estorsioni nella zona di Nicastro». E proprio questa decisione avrebbe salvato la vita di Rainieri «poiché, nonostante Giuseppe Giampà, dal carcere, continuasse ad inviare disposizioni all’organizzazione per uccidere appunto Ottorino Rainieri, Alessandro Torcasio detto “Cavallo”, che nel nuovo assetto della cosca rivestiva un ruolo di rilievo, riferiva ai soggetti incaricati dell’esecuzione, di non dare seguito al progetto omicidiario».
Anche Luca Piraina ricorda l’episodio. Nel verbale che rende a febbraio 2016 racconta «di aver conosciuto Vincenzo Giampà “Camacio” quando era uscito dal carcere, pochi mesi prima dell’operazione Medusa. Si rivolse a lui in quanto avevano ricevuto da Giuseppe Giampà – che era in carcere – un sollecito per uccidere Ottorino Rainieri. Vincenzo Giampà, peraltro disse loro di “lasciare stare” al momento, in quanto i rapporti con il Rainieri erano migliorati e si stava pensando ad una pace. Sostanzialmente, quindi, Giampà Vincenzo “Camacio” uscito dal carcere nel 2011 aveva mantenuto il proprio potere decisionale, tanto da poter bloccare ordini del boss, figlio del capoclan Francesco Giampà detto “il Professore”, arrivati dal carcere».
 
L’ASCESA DI DOMENICO GIAMPA’ E I LEGAMI COI MANCUSO Dopo l’operazione Medusa, quando Giuseppe Giampà diviene collaboratore di giustizia, Domenico Giampà riveste un ruolo di vertice all’interno della cosca. Dal carcere riesce a gestire le azioni criminose, le estorsioni, le affiliazioni, grazie a messaggi che riesce agevolmente a inviare all’esterno. Domenico Giampà, divenuto collaboratore di giustizia nel 2016, «all’interno del carcere è considerato come un capo ed è ritenuto tale anche da altri referenti di altre cosche calabresi quali i Mancuso, i Nicoscia, Peppe Cossari». A riferirlo è un altro pentito, Pasquale Catroppa che riferisce di un episodio secondo il quale Domenico Giampà strinse un accordo con Pantaleone Mancuso, in base al quale una volta uscito dal carcere Saverio Giampà, gli avrebbe dato in gestione un punto vendita di una catena di detersivi di Lamezia Terme «in quanto Pantaleone Mancuso gestirebbe tale catena nella zona di Vibo Valentia per il tramite di suoi prestanome».
 
GLI ORDINI DAL CARCERE Faccia a faccia col sostituto procuratore Elio Romano, Domenico Giampà racconta come, anche dal carcere, riuscisse a impartire ordini e disporre gli illeciti. A partire da dicembre 2012, Domenico Giampà, con altri membri della cosca, in particolare Saverio Giampà, Vincenzo “u Camacio” e Domenico Chirico “u Battero”, a cui erano anche state conferite nuove «doti di ‘ndrangheta», cercò di ricostituire un gruppo capace di gestire all’esterno del carcere le “estorsioni”.
«E con chi v’incontravate in particolare?», chiede il pm.
«Con tutti – risponde il collaboratore –. Perché in un’udienza può essere che capitavo con Cosenza, in un’udienza capitavo con Catanzaro, parla di carceri, quindi m’incontravo con tutti non c’era una persona che non vedevo. Pure le donne si vedevano, pure che ci vedevamo un pochettino, non avevamo contatto perché erano donne, però vedevo pure le donne lì a Catanzaro».
 
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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