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A Cosenza medici come pacchi postali (ma non tutti)

COSENZA Quella che segue è una storia che racconta di come funziona un pezzo della burocrazia sanitaria a Cosenza e nella sua provincia. Di come sia capace di decidere tutto e il suo contrario. Di…

Pubblicato il: 26/02/2017 – 8:33
A Cosenza medici come pacchi postali (ma non tutti)
COSENZA Quella che segue è una storia che racconta di come funziona un pezzo della burocrazia sanitaria a Cosenza e nella sua provincia. Di come sia capace di decidere tutto e il suo contrario. Di come si possano spostare alcuni medici come pacchi da mandare al macero e altri trattati come preziose confezioni regalo. Di come, davanti a certe “esigenze”, il management metta da parte il diritto alla salute dei cittadini e le più basilari norme dei contratti. È anche un racconto ricostruito sulla base degli atti finiti al centro di un’inchiesta della Procura di Cosenza (e di una interrogazione parlamentare con primo firmatario il senatore del M5s Nicola Morra): sono sette i manager indagati per le presunte violazioni di leggi da parte sia dell’Asp che dell’Azienda ospedaliera di Cosenza.

ANTEFATTO C’è un prologo. Nel 2011 (nei cicli della sanità commissariata siamo nell’era Scopelliti) si decide di chiudere quasi tutti i punti nascita periferici in provincia di Cosenza. Uno di questi si trova nell’ospedale di Acri. Vi lavorano sei medici: tre a tempo determinato, tre a tempo indeterminato. Ovviamente tocca ai primi tre essere trasferiti. Sono i dottori Maria Gabriella Milito, Giulia Cerenzia e Norberto La Marca. Questi dottori finiscono “in prestito” nel reparto di ginecologia dell’ospedale di Cosenza. Per quanto tempo lo spiega la disposizione dell’allora direttore generale dell’Asp di Cosenza, Gianfranco Scarpelli (l’Asp “governa” sull’ospedale di Acri), raccolta dal management dell’Azienda ospedaliera (che accoglie i dottori): «L’utilizzo è temporaneo e provvisorio e comunque non potrà protrarsi oltre il 31 dicembre 2011, data di scadenza del contratto a termine in corso». Per due di quei medici quel «temporaneo» è durato per anni. Al terzo (La Marca) è subito chiaro che il suo destino sarà diverso: a luglio viene trasferito per due accessi settimanali di sei ore all’ambulatorio di San Marco Argentano e per il rimanente monte orario presta servizio presso il reparto di ginecologia dell’ospedale di Cosenza. C’è un altro aspetto curioso. Più o meno in coincidenza del triplo trasferimento da Acri, l’Asp si era privata di tre ginecologi: uno a testa a Cetraro, Castrovillari e Corigliano. Non avrebbe avuto più senso spostare lì i precari anziché “regalarli” all’Azienda ospedaliera? La domanda resterà senza risposta almeno fino all’ottobre del 2012, quando ne arriva una almeno parziale: il solito La Marca finisce a Cetraro, le sue colleghe restano nel capoluogo bruzio.

PACCO E CONTROPACCO Nel corso dell’autunno 2013, la Ginecologia di Castrovillari (che rientra sempre nelle competenze dell’Asp) perde tre medici su dieci. Vanno in pensione quasi contemporaneamente e il direttore di quel reparto chiede al dg dell’Asp di mandargli qualcuno per continuare a garantire i servizi. All’inizio il manager (era “geologica” Scarpelli) fa la cosa giusta: si ricorda delle dottoresse «temporaneamente» in servizio a Cosenza; ricorda anche che, in realtà, appartengono all’organico dell’Azienda sanitaria e ricorda, infine, come si era comportato con La Marca nell’ottobre 2012, e, quindi, le destina – il 7 febbraio 2014 – all’ospedale del Pollino. Pare la soluzione più logica, infatti viene smontata in pochi giorni. Due settimane più tardi l’Azienda ospedaliera chiede a Scarpelli di ripensarci. Ma il manager è sospeso per il caso delle consulenze d’oro, così ci pensa il suo sostituto, Luigi Palumbo, a sospendere la disposizione che mandava Cerenzia e Milito a Castrovillari. Blocca l’atto per due mesi, ma autorizza le ginecologhe a restare a Cosenza fino al 31 maggio 2014, dunque ben oltre i due mesi. A Castrovillari, intanto, non va nessuno. E il primario di quel nosocomio, a marzo, torna a chiedere rinforzi.

MOBILITÀ PER DUE Sempre a marzo si verifica un evento che trascende le norme: le due dottoresse a tempo determinato presentano domanda di mobilità per poter passare dall’Azienda sanitaria a quella ospedaliera. La domanda viene accolta dall’azienda ospedaliera di Cosenza che, manifestando il proprio assenso, chiede il nulla osta all’Asp di Cosenza. Il 18 aprile 2014, ossia il primo giorno del suo rientro in servizio dopo la sospensione di due mesi, il dg Scarpelli lo concede. Peccato che l’istituto della mobilità non sia previsto per i precari (possono usufruirne soltanto i medici assunti a tempo indeterminato). Peccato, poi, che di ginecologi non ci sia di certo un esubero ma piuttosto un’acclarata carenza, come nel caso di Castrovillari. Poco prima di questo evento, l’Asp si era premurata di chiedere ai ginecologi dell’ospedale di Cetraro la disponibilità a trasferirsi a Castrovillari (e i medici di quell’ospedale rispondevano che sarebbe stato per lo meno più corretto chiedere tale disponibilità a tutti i colleghi che lavoravano nei presidi di tutta l’Azienda sanitaria). Come si può notare la questione è ingarbugliata: ci sono due dottoresse inamovibili, personale medico di ginecologia da mandare a Castrovillari e un’intera Azienda in subbuglio. Scarpelli, dopo aver concesso il nulla osta per la mobilità verso l’azienda ospedaliera delle due dottoresse, prende una decisione. Ricordate il reparto di Acri: dopo i trasferimenti dei precari (nel 2011) e quello di uno dei medici a tempo indeterminato, restano due medici, entrambi con oltre 25 anni di servizio alle spalle, rimasti a garantire a quella comunità i servizi di ginecologia (ambulatorio, consultorio, day hospital e daysurgery) residuati alla chiusura del punto nascita. Sono Egidio Giorgio e Fiorina Capalbo. Per il dg dell’Asp tocca a loro spostarsi. Ad Acri, che qualche anno prima aveva già visto chiudersi il punto nascita, però, la decisione scatena una piccola sommossa che ferma tutto per un po’. Si schiera anche il sindaco: i ginecologi non si toccano. E indovinate chi finisce a Castrovillari per primo? Ovviamente La Marca, che, almeno inizialmente, dovrà dividersi tra Cetraro e la nuova destinazione a partire dal 12 maggio 2014.

NUOVO GIRO, NUOVA CORSA Il giorno dopo, il direttore generale si ricorda di nuovo delle dottoresse Cerenzia e Milito e le (ri)sposta a Castrovillari. A questo punto, mentre presso la sede di Castrovillari sono stati spostati 5 ginecologi, ma di questi solo La Marca sta ottemperando alle disposizioni, Scarpelli fa nuovamente dietrofront sulle sue decisioni e, sei giorni dopo la disposizione che mandava nuovamente le dottoresse a Castrovillari, le “cede” definitivamente all’ospedale di Cosenza, chiedendo al dipartimento Tutela della Salute l’autorizzazione per questa mobilità. Il dipartimento concede l’autorizzazione, avallando una richiesta impossibile (perché, come dicevamo, sono a tempo determinato) di mobilità. E c’è un altro tocco di assurdo: il dipartimento, infatti, dà l’ok al trasferimento perché l’Asp di Cosenza, nell’accettare l’allontanamento delle dottoresse, dichiaradi non aver bisogno di sostituirle. Come se ci fosse abbondanza di ginecologi, proprio mentre da Castrovillari le richieste assumono un tono tra il preoccupato e il disperato.

IL BLOCCO DEL TURNOVER NON ESISTE Nonostante una diffida e le proteste dell’Anaao-Assomed, lo show continua: le dottoresse “devono” essere trasferite all’ospedale di Cosenza. Il passaggio diventa ufficiale l’1 giugno 2014. Le ginecologhe in questione vengono licenziate dall’Asp e assunte il 10 giugno dall’Azienda ospedaliera. Di fatto, si tratta non di una mobilità ma di due nuovi contratti a tempo determinato stipulati in presenza del blocco del turnover e senza alcuna procedura ad evidenza pubblica. L’Ao, in questo caso, si comporta come un’azienda privata e assume due dipendenti per “chiamata diretta”.

TRASFERIMENTI ANNULLATI Le denunce dell’Anaao, però, fanno suonare un campanello d’allarme a Catanzaro. Dal dipartimento chiedono chiarimenti riguardo alla mobilità di Milito e Cerenzia. Si accorg
ono, finalmente, che l’Asp da un lato aveva dichiarato di poter trasferire i medici senza sostituirli e dall’altro aveva disposto lo spostamento di quegli stessi medici a Castrovillari per la carenza di personale. Ne passa di tempo, sei mesi sono tanti. Ma, alla fine, il 19 novembre 2014, la Regione (firmano la dirigente Sabina Scordo e il dg Bruno Zito, e promulga l’atto l’allora commissario alla Sanità Luciano Pezzi) revoca l’autorizzazione alla mobilità delle due ginecologhe. Autorizzazione che, per inciso, era stata concessa dagli stessi manager che l’hanno bocciata (tranne Pezzi). Uno dei motivi della revoca è che l’Asp non aveva comunicato al dipartimento la tipologia di contratto (a tempo determinato) delle dottoresse, per la quale non è contemplato l’istituto della mobilità.

RITORNO ALL’ASP Pare che la vicenda stia per giungere a un conclusione logica. Ma la logica non abita nelle stanze dell’Asp e dell’Ao di Cosenza. Se l’Azienda ospedaliera, almeno formalmente ma non sostanzialmente, prende atto della decisione, a via Alimena non ci pensano neppure. Mettono in dubbio per ben due volte il provvedimento della Regione, cercano di evitare, a tutti i costi, il rientro in servizio presso l’Asp delle dottoresse, si battono come leoni. Ma alla fine capitolano, dopo l’ennesima lettera – dai toni molto decisi – del generale Pezzi. L’Asp, il 3 febbraio 2015, si impegna a riassumere le ginecologhe.

COME SE NIENTE FOSSE Ma se queste storia non fosse pazzesca non ci sarebbe bisogno di raccontarla. Perché dopo la revoca della mobilità del dipartimento; dopo la revoca del contratto da parte dell’Ao di Cosenza; dopo la delibera di riassunzione dell’Asp, le dottoresse continuano ad andare al lavoro nell’ospedale bruzio (con il quale non hanno più un contratto, essendo stato loro revocato). Nessuno, nella sanità cosentina, si cura neppure degli esposti – che sono due – presentati, a gennaio e a giugno del 2015, dai tre medici spediti bruscamente a Castrovillari dall’Asp e difesi, nell’ambito dei loro ricorsi alla giustizia amministrativa e ordinaria dall’avvocato Flavio Ponte. Va avanti così fino a quando, dopo il secondo esposto, iniziano le indagini e l’intervento della Guardia di Finanza, nel settembre 2015, “convince” tutti i protagonisti della commedia a rientrare nel solco della legalità. Infatti, il 1 settembre 2015, esattamente 9 mesi più tardi rispetto alla revoca del loro contratto (trattandosi di ginecologi non poteva trattarsi effettivamente di un periodo diverso per “partorire” qualcosa), le due dottoresse rientrano finalmente nell’Asp di Cosenza. Certo, però, bisognerà spiegare un po’ di questioni. Per esempio: a che titolo, chi le retribuiva e come venivano retribuite le due dottoresse in questione mentre prestavano servizio senza contratto presso l’ospedale di Cosenza? Senza voler parlare di tutte le implicazioni medico-legali del caso. Tutto piuttosto pazzesco. Il guaio è che la storia non finisce qui. (1. Continua)

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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