COSENZA L’ultimo giorno di vita di un bimbo di soli quattro anni è emerso nel dolore composto ma profondo di una mamma. Ha commosso tutti il racconto della madre del piccolo Giancarlo Esposito, il bimbo di 4 anni deceduto il 2 luglio del 2014 nella piscina comunale di Cosenza. Giancarlo era al suo primo giorno di attività nella struttura dedicata ai più piccoli e chiamata Kinder Garden. Sul banco degli imputati ci sono Carmine Manna (legale rappresentante della società), e le educatrici Franca Manna, Luana Coscarello, Martina Gallo e Ilaria Bove. Secondo l’accusa, per negligenza, imperizia e imprudenza avrebbero causato la morte del piccolo, annegato mentre si trovava in una delle piscine presenti nella struttura. Il piccolo sarebbe deceduto per «insufficienza respiratoria acuta conseguente ad asfissia meccanica, violenta e primitiva, determinata da annegamento in acqua dolce (piscina)».
Lunedì mattina, il processo è proseguito nonostante il cambio del giudice: il presidente Enrico Di Dedda ha preso il posto del dottore Marco Bilotta. Le difese hanno prestato il consenso a far proseguire il dibattimento. Così, come da calendario, questa mattina per prima ha ascoltato la mamma del piccolo Giancarlo che ha ricostruito i momenti del primo giorno di Kinder Garden per il loro bambino e poi l’arrivo di quella tragica notizia. Rispondendo all’avvocato di parte civile Ugo Ledonne, la signora Esposito ha ricordato che cosa le dissero quella mattina quando hanno accompagnato il piccolo nella struttura: «Non ci chiesero alcun tipo di informazioni: solo a lui direttamente chiesero se sapesse nuotare. Li ho visti allontanarsi in fila indiana e poi sono andata via. Mi hanno telefonato dopo un’ora dicendomi che il bambino stava male e di correre in ospedale. Non mi facevano entrare nella stanza del pronto soccorso, ma vedevo tutti piangere e sentivo dire che aveva bevuto acqua. Quando sono riuscita a vederlo per qualche minuto Giancarlo era cianotico. Non ho notato se il costume fosse sporco e non ricordo se lui fosse bagnato». Dal giorno della tragedia la loro vita è cambiata e i genitori del piccolo sin dal primo momento sono stati supportati da uno psicoterapeuta che li sostiene nel loro immenso dolore. «Non ho più voluto abitare in quella casa perché non riuscivo a vedere le sue cose – ha detto la mamma -: non potevo vedere in giro il suo pigiamino. Io non riuscivo ad andare al lavoro e ancora adesso tremo ogni volta che squilla il telefono. Mi chiedo sempre se in quel momento avesse avuto bisogno di noi».
Il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara è tornata alla ricostruzione dei momenti in cui Giancarlo è entrato in piscina. «Ho visto le collaboratrici – ha spiegato la mamma – solo quando sono andati via in fila indiana. La signora Franca Manna, quella mattina, alle mie raccomandazioni mi disse che ero troppo apprensiva e di stare tranquilla perché lei faceva questo lavoro da venti anni. Sui dispositivi di sicurezza mi hanno detto che avrebbero usato solo i braccioli». Rispondendo alle domande dell’avvocato della famiglia Francesco Chiaia, la mamma del piccolo ha ricordato che una settimana dopo la tragedia ha ricevuto una lettera da Carmine Manna nella quale «si diceva addolorato per quanto accaduto e che anche loro volevano sapere la verità e capire che cosa fosse successo. Ha detto che capiva che cosa provassimo perché anche lui ha un bimbo della stessa età di nostro figlio».
Il giudice Di Dedda ha chiesto l’acquisizione di quella lettera perché si tratta di un atto prodotto da un imputato. I giudici hanno ascoltato anche Amedeo Pingitore, psicologo e psicoterapeuta, che ha seguito la zia del piccolo dopo il tragico evento. E, infine, è stato sentito l’ingegnere Michelangelo D’Ambrosio consulente che ha visionato le immagini di videosorveglianza della piscina. «Devo premettere – ha detto – che il sistema di videosorveglianza era datato e non di qualità quindi le immagini non erano ottimali per cui abbiamo rilevato poche informazioni. Dalle immagini si vedeva comunque che i bambini, alle nove e qualche minuto, entrano e vengono disposti sulle panchine dove stanno per un po’ di tempo forse per prepararli. Si vede il primo gruppo dei bambini attraversare una tenda”.
Rispondendo alle domande dell’avvocato Sabrina Rondinelli (che difende gli imputati assieme ai colleghi Marcello Manna e Concetta Coscarella), il consulente ha precisato di aver visto «i piccoli che venivano accompagnati da due adulti ma dalle immagini non posso dire chi fossero». Il giudice ha chiesto l’acquisizione di tutte le consulenze redatte e di cui si è discusso oggi. Il processo è stato aggiornato al prossimo 12 aprile.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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