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Gli appetiti famelici che spaccano il Pd

Adesso la parola d’ordine è “fase due”. Dopo la “ripartenza” del governatore, archiviata come una delle tante boutade del parroco di San Giovanni in Fiore, arriva la “fase due” dei con…

Pubblicato il: 27/02/2017 – 16:31
Gli appetiti famelici che spaccano il Pd
Adesso la parola d’ordine è “fase due”. Dopo la “ripartenza” del governatore, archiviata come una delle tante boutade del parroco di San Giovanni in Fiore, arriva la “fase due” dei consiglieri regionali del Pd. In comune hanno il nulla pneumatico che ormai caratterizza la vita politica del centrosinistra calabrese. Intendiamoci, vuoto pneumatico quando ci riferiamo a idee, progetti, interessi generali che quando, invece, ci spostiamo sulle aspettative personali di chi vive la politica come un investimento, altro che vuoto pneumatico, c’è il trionfo del pragmatismo operoso.
Così, una classe dirigente spazzata via dal voto del 4 dicembre (erano tutti per il “Si”…) adesso ha bisogno di fare cassa attraverso il proprio schierarsi a favore o contro la scissione per poi valutare se saltare sul carro di Emiliano o su quello di Orlando, o meglio se restare sul carroccio renziano.
Gli amici sono tanti è il vino è poco, allora è bene cominciare a liberare posti a tavola: fuori la giunta dei professori, fuori i sub-commissari, fuori le deleghe a singoli consiglieri. E fin qui sono tutti d’accordo, da Ciconte a Mirabello, da Bevacqua a Guccione. Figuratevi che è d’accordo anche Tonino Scalzo, imbottito di kriptonite ha lasciato la trincea, dimenticato la sua per nulla ovattata presenza in giunta (by Barbalace), calcato l’elmetto e partito all’assalto del capoluogo al grido «Enzo Ciconte sindaco subito».
Eh sì perchè la storia delle comunali di Catanzaro si intreccia improvvisamente con quella dell’agognato rimpasto della giunta regionale: se Ciconte può condidarsi a sindaco vuol dire che cade la ragione per la quale ha dovuto lasciare la giunta. Che poi è la stessa ragione costata la poltrona di presidente del consiglio regionale al buon Scalzo: il coinvolgimento nell’indagine “Rimborsopoli”.
A Magorno, però, resterebbe da spiegare perchè in presenza di un semplice avviso di garanzia si è chiesto a Guccione, Ciconte e Scalzo di lasciare la poltrona ed oggi, dopo che da quell’avviso nasce una richiesta di rinvio a giudizio, si cambia registro.
A meno che la “fase due” non significhi anche il superamento della scelta di tenere fuori dagli incarichi di governo quanti coinvolti in indagini particolarmente delicate. Enzo Ciconte assicura che è proprio così, giura che la sua candidatura a sindaco di Catanzaro è non solo benedetta ma, addirittura, imposta da “Roma”. Non dice altro. Quando parla di “Roma” non fa nomi, preferisce ammiccare. E non facendo nomi va bene tutto, qualsiasi contraddizione viene colmata: “Roma”, che originariamente aveva puntato su un questore del rango di Giuseppe Gualtieri se solo avesse avuto voglia di accettare l’offerta; “Roma” che subito dopo era pronta a spendersi per un candidato esterno quale Maurizio Mottola d’Amato; “Roma” adesso, con una virata di 180 gradi, avrebbe cambiato idea fino a “imporre” Ciconte a prescindere dalle sue pendenze giudiziarie.
E mentre “Roma” dispenserebbe benedizioni e chiacchiere, sull’asse Catanzaro-Lamezia un esercito di frati trappisti bussa alle porte del convento per invocare dal gran priore, “fra Magorno” da Diamante non l’assoluzione dai peccati bensì la soluzione delle annose ambasce.
E “fra Magorno” da Diamante, stanco di tanta inetta ipocrisia, prima si complimenta con i “ragazzacci” del Corriere (il più bel complimento possibile: «Avete scritto esattamente quello che è avvenuto in una riunione segreta») e poi manda con un sms (i tempi cambiano anche nei conventi) la sua bolla ai discoli fratacchioni: «Presto lasceremo tutti la festa… pace a chi resta».
 
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