COSENZA «Vuole uccidere anche me e ho paura per i miei figli che potrebbero rimanere orfani». È lo sfogo di Serena Giordanelli, la sorella di Annalisa la dottoressa uccisa a Cetraro nel gennaio del 2016. Per la sua tragica morte è imputato l’ex cognato Paolo Di Profio, ex marito di Serena Giordanelli. Secondo l’accusa l’infermiere non avrebbe accettato la fine della relazione con la moglie e riteneva la cognata anche responsabile della fine della sua relazione. Per l’uomo è iniziato da poco il processo con rito abbreviato condizionato davanti alla Corte di Assise di Cosenza. L’ex moglie non condivide la scelta del rito abbreviato condizionato a una perizia e ha raccontato la sua storia con una lettera pubblicata sul blog di Concita De Gregorio sul sito di Repubblica. Serena Giordanelli ha paura per la sua incolumità perché le guardie penitenziarie hanno rinvenuto una lettera – acquisita anche dai legali di parte civile e finita nel fascicolo del pm – nella quale Di Profio dal carcere stava “commissionando” di uccidere la ex moglie: «Ha detto che me la farà pagare, le guardie hanno trovato nella sua cella una lettera indirizzata a una persona di sua fiducia. Dice: “Lei va a camminare la mattina in direzione del porto, basta un colpo secco alla testa, mi raccomando scegli delle persone fidate. Se non l’ammazzi almeno mandala sulla sedia a rotelle, è l’unica cosa che può darmi un po’ di pace”. Sono laureata in lingue, insegnavo, vivevo in un paese vicino a Cosenza. Ora sono scappata in Umbria coi miei figli, vivo nascosta aiutata dai soldi di mia madre, 85 anni. Ho paura perché la corte di Assise di Cosenza gli ha accordato il rito abbreviato. Vorrebbero farlo passare per incapace di intendere e di volere. Se mi ucciderà chi lo spiegherà ai miei figli? La mia è una storia qualunque. Ho sposato Paolo, infermiere anestesista all’ospedale di Cetraro, nel maggio 2004. Quasi subito mi sono accorta che beveva di nascosto. Ho fatto di tutto per cercare di farlo smettere. Ho sperato che la nascita dei figli lo aiutasse, ma al contrario: ha iniziato a fare uso di sostanze anestetiche (Midazolam) sottratte in reparto. Ho combattuto da sola: per molto tempo non ho rivelato a nessuno la verità. Familiari e amici lo conoscevano come un uomo cortese e generoso».
Qualcosa cambia nel 2012 quando muore una delle sorelle di Serena e lei decide di chiedere un supporto psicologico e si rivolge alla sorella Annalisa alla quale racconta i suoi problemi. «Nel 2012 – scrive Serena Giordanelli nella lettera inviata a Repubblica – muore improvvisamente una delle mie tre sorelle e il mio equilibrio vacilla, inizio una psicoterapia. Realizzo come la mia situazione matrimoniale sia insostenibile. Ne parlo con mia sorella Annalisa che, da medico, penso possa aiutare me e magari anche lui. Quando Paolo capisce che ho rivelato il suo “segreto” è l’inizio della fine. Mi minaccia di morte davanti ai figli. Inizia a usare cocaina. Mi calunnia in pubblico: dice che lo tradisco e che gli rubo soldi.
Naturalmente è falso. È lui a rubare 100mila euro in casa di mia madre. Lo denuncio. Nessuna indagine. Frantuma il parabrezza e svita i bulloni della mia auto, le videocamere lo provano. Uccide mia sorella. Dopo due settimane dall’omicidio mi viene bruciata l’auto. I carabinieri pensano che sia qualche esponente della cosca mafiosa del mio paese, ma io so che il mandante è lui. Molti, primi fra tutti i suoi familiari, si schierano dalla sua parte contro di me, colpevole di averlo lasciato».
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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