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La mina vagante della disoccupazione

«Questo non era il mondo che mi doveva essere consegnato. E nessuno mi può costringere a farne parte. Non posso passare la vita solo a combattere!». Queste sono alcune delle ultime parole di una lu…

Pubblicato il: 09/03/2017 – 18:32

«Questo non era il mondo che mi doveva essere consegnato. E nessuno mi può costringere a farne parte. Non posso passare la vita solo a combattere!». Queste sono alcune delle ultime parole di una lunga lettera che un giovane friulano ha lasciato ai genitori prima di togliersi la vita, stanco di essere senza futuro e senza prospettive.
Sono centinaia le lettere che i giornali ricevono da parte di giovani che,pur avendo corposi titoli di studio non riescono a essere a 30-35 e forse 40 anni alle dipendenze dei genitori.
Nella migliore delle ipotesi emigrano e, se hanno un po’ di fortuna, riescono a fare i camerieri in Inghilterra (ancora?), in Germania, in Olanda, forse in America, se racimolano i soldi per il viaggio ed hanno un provvisorio punto di appoggio, oppure i “porter”(portabagagli), i lavapiatti, se non anche i barboni, ospiti dell'”hotel de la gare”(la stazione) e, per il vitto, della mensa dei poveri. Fino a quando non si presenterà la dea bendata! Ma quanto dovrebbero essere le dee bendate per soddisfare le urgenti necessità di chi è senza lavoro?
Non certo tante quante sono le persone che anelano, giustamente ad un posto di lavoro. Perché devono anelare? Il lavoro non è un diritto? E resta tale. Che fai, altrimenti? Aspetti che qualcuno risponda al curriculum inviato aprendo il computer o affacciandoti alla finesta per vedere se arriva il postino. E poi ti rimetti a letto leggendoti il giornale del giorno prima che il vicino ti ha regalato. Poi ti addormenti, poi ti svegli, poi esci, poi torni a casa, poi imprechi, poi ti aggreghi a chi raccoglie arance e clementine e fai l’emigrato-migrante. La “vexata quaestio” non riguarda solo i calabresi che, secondo tutte le statistiche di questo e quell’altro mondo, vedono la Calabria quasi sempre agli ultimi posti, quanto ad occupazione giovanile ed altro. Gli italiani residenti al’estero – chi sta bene e chi sta male, perché il mondo è fatto a scale – sono ben 5 milioni, secondo dati pubblicati dalla Farnesina e dal Viminale.
Ma si tratta di gente come previsto dalla legge Tremaglia, vuole regolarizzare la propria posizione, ai fini del voto all’estero. E quanti sono coloro che rimangono residenti a San Donato di Ninea o a Villa San Giuseppe e non comunicano alcunché, sia perché disinteressati al voto, sia perché non sentono di fare il proprio dovere, visto che, ha lasciato intendere il povero Michele, del Friuli, «lo Stato non lo ha fatto con me?». La metà risiede in Europa fin quando la premier inglese Teresa May, non si deciderà risolvere la “questione Brexit”. Due milioni nell’America meridionale, cinquecentomila nell’America centrale e settentrionale. Non mancano quanti hanno tentato l’avventura – evidentemente fortunata – di raggiungere l’Asia, l’Oceania ,l’Antartide. E, udite, udite, ci sono connazionali che hanno fatto fortuna nel Principato di Monaco (dove in molti tentano la fortuna al Casinò!) e finanche ad Antigua e alle Bermuda. Le tasse? E chi si pone il problema?
«Abbiamo tanti quei problemi che quello del pagamento delle tasse è veramente l’ultimo dei problemi», lasciano intendere. Le pagheranno, evidentemente, se dovessero riuscire a trovare un posto di lavoro in patria. Ma in patria nessuno è profeta, da sempre. Non lo è neanche il politico di professione che sta vivendo una fase di confusione, di intrecci, del “mors tua, vita mea” che non può, non vuole, non ha il tempo di preoccuparsi die giovani, perché “majora (per loro) premunt”, come se il posto di lavoro fosse una questione di minore importanza. «Non si può rubare il futuro ai giovani», hanno tuonato i vescovi del Sud, ricordano che solo dal Mezzogiorno sono stati un milione e centomila i giovani costretti ad emigrare e, quasi tutti, al minimo, con una laurea in tasca. Anche papa Francesco ha, giustamente, voluto dire la sua: «Una società che non offra alle nuove generazioni opportunità di lavoro dignitoso, non può dirsi giusta».
Ma c’è qualcuno che si preoccupa, con fatti concreti? O il tempo,alla Regione, si passa governando il contingente, ascoltando giovani raccomandati e non alla ricerca “della scrivania” che non c’è più? Ci sforza di pensare che la mancanza di lavoro comporta la perdita di dignità se non, quel che è più grave, come ripete ogni settimana il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, porta i giovani ad essere preda delle organizzazioni criminali? No. Non si pensa. Diciamo che non c’è il tempo o che i giovani sono troppi! Nonostante questo l’appello di mons. Nunzio Galantino «le istituzioni devo essere più presenti di fronte ai bisogni della gente».
Non si possono girare dall’altra parte, o far finta di non sentire. L’emergenza lavoro è “una mina vagante” ha chiosato monsignor Bertolone, il presidente della conferenza episcopale calabra. Il bello, purtroppo è che chi ha la pancia piena, non conosce chi è a digiuno. E nessuno, tranne pochi volontari, don Pino De Masi con Libera e quanti non hanno il cuore di pietra, muovono i loro passi. Piccoli, ma meglio che niente!

*giornalista

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