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I “barbari” nei salotti e la politica collusa

Mario Spagnuolo è un magistrato inossidabile. Il suo aplomb londinese non gli ha mai impedito di andare fino in fondo nelle inchieste, anche le più delicate che hanno riguardato altri magistrati pe…

Pubblicato il: 11/03/2017 – 14:25
I “barbari” nei salotti e la politica collusa

Mario Spagnuolo è un magistrato inossidabile. Il suo aplomb londinese non gli ha mai impedito di andare fino in fondo nelle inchieste, anche le più delicate che hanno riguardato altri magistrati perseguiti e condannati per corruzione in atti giudiziari. Oggi è al vertice della Procura di Cosenza e di lavoro incompiuto ne ha trovato fin troppo. Intervenendo al premio giornalistico “Alarico”, gela i presenti con la sua analisi impietosa: «Questo premio è dedicato a un barbaro. E a Cosenza ci sono barbari che razzolano nei circoli e nei salotti indisturbati».
Pochi giorni prima, intervenendo in altro dibattito, il procuratore distrettuale di Catanzaro, Nicola Gratteri, era stato più esplicito: «Prima ancora della politica e della ‘ndrangheta, il problema della Calabria sono i quadri della pubblica amministrazione. Ci sono direttori generali – ha spiegato Gratteri – che da vent’anni sono nello stesso posto, e da incensurati gestiscono la cosa pubblica con metodo mafioso. Un centro di potere cresciuto sulle spalle di una politica debole in alcuni casi, collusa in molti altri. Una politica che non ha la forza e la preparazione tecnico-giuridica per affrontare il problema della gestione dei quadri. O forse più che la forza manca la volontà, visto che i quadri hanno sempre un politico di riferimento».
Sia Gratteri che Spagnuolo, nella loro analisi, convergono su quanto osserva il procuratore distrettuale di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho: «Le nostre indagini ci consentono di affermare che sono ormai ampiamente provati gli intrecci tra mafia e politica. Del resto, se la ‘ndrangheta è potuta diventare quello che è, lo si deve proprio al fatto che ha avuto riferimenti politici che glielo hanno consentito, altrimenti non sarebbe diventata così forte».
Parole dure, tuttavia non pare abbiano impressionato più di tanto la politica calabrese: c’è mezzo consiglio regionale sotto inchiesta; un Tribunale del riesame che deve decidere se arrestare o meno il capogruppo della lista Oliverio presidente; il quotidiano sequestro di atti e documenti presso la “Cittadella” regionale; la cattura di dirigenti della Regione che in combutta con imprenditori e faccendieri drenano risorse pubbliche. Eppure tutto questo non modifica di un centimetro il percorso di una politica che conosce una alternanza solo virtuale ma, nella sostanza, lascia integri quei grumi di potere che, per dirla con le parole di Gratteri, «gestiscono la cosa pubblica con metodo mafioso».
La procura chiede l’arresto per voto di scambio di Orlandino Greco? Mario Oliverio lo mette a capo della delegazione che in Australia partecipa ai lavori dell’associazione calabresi nel mondo. Poco importa se l’Australia non prevede estradizione per quel reato e se c’è il rischio che la decisione del Tribunale della libertà arrivi proprio mentre Orlandino Greco è capo delegazione nel paese dei canguri.
La legge Madia fa espresso divieto di prorogare le funzione dei direttori generali una volta collocati in pensione? Oliverio lascia calpestare la legge e manda Tommaso Loiero agli incontri con i sindacati anche dopo il suo pensionamento. Il Mef stabilisce che due terzi della dirigenza regionale ricopre i rispettivi incarichi sulla base di false ricostruzioni di carriera ed in assenza di qualsivoglia concorso pubblico? La giunta regionale, e spiace rilevare che in essa siede anche uno stimato giuslavorista, li lascia dove sono. La legge impedisce a chi è estraneo alla pubblica amministrazione di partecipare a selezioni riservate ai dipendenti pubblici? Mario Oliverio se ne strafrega della legge e nomina capo ufficio stampa Oldani Mesoraca sostenendo che questi è dipendente regionale mentre non lo è più dal lontano 1995.
E se vai a chiedere alla dirigente di turno – in questo si segnala come astro nascente la dottoressa Gina Aquino – lumi sui contenuti di atti e provvedimenti palesemente illegittimi, ti senti rispondere: «Ai piani alti hanno detto di fare così». Già, i piani alti della “Cittadella” o, meglio, il mitico “decimo piano” dove vige un solo unico testo di legge, “il codice Pignanelli”, e dove pare che il prerequisito per avere libero accesso sia non essere incensurati.
C’è quanto basta per incominciare a credere che la politica lancia alle procure una vera e propria sfida: Spagnuolo, Gratteri, Cafiero de Raho rischiano di essere traslati in un ruolo diverso, passando da quello di chi deve amministrare giustizia a quello di apprezzati sociologi. Nessuna tentazione di invocare, attraverso questa riflessione, un “governo delle procure”. Ci mancherebbe altro! Semmai sono quei sepolcri imbiancati della politica a ripetere la filastrocca della «piena e incondizionata fiducia nell’azione della magistratura». Alla fine, però, qualcuno dovrà anche aiutare i cittadini calabresi, che già in larga maggioranza hanno rinunciato alla democrazia disertando le urne, a capire come sia possibile assistere alle esplicite e circostanziate denunce di tre autorevoli magistrati e, per contro, prendere atto che nei “circoli e nei salotti” del potere politico, e qui facciamo nostro l’esempio usato da Spagnuolo, «i barbari razzolano indisturbati».

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