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Alla scoperta dei tesori calabresi in fondo al mare

LAMEZIA TERME Si sa che la Calabria di storia ne ha tanta. Dell’influenza greca prima e romana poi, ne sono testimonianza i tanti siti e aree archeologiche da nord a sud della regione. Da Vibo a Ca…

Pubblicato il: 13/03/2017 – 11:06
Alla scoperta dei tesori calabresi in fondo al mare

LAMEZIA TERME Si sa che la Calabria di storia ne ha tanta. Dell’influenza greca prima e romana poi, ne sono testimonianza i tanti siti e aree archeologiche da nord a sud della regione. Da Vibo a Capo Colonna, da Locri a Monasterace. E poi ancora Sibari e Palmi, di recente restituiti al pubblico. Una tradizione e una cultura che di certo non si ferma qui, solo sulla terra ferma. E se anche il mare che circonda la Calabria potesse contenere un prezioso sito archeologico da scoprire e da valorizzare? A rispondere a questa domanda è stato il dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica e gestionale dell’Unical, lanciando il progetto Visas, acronimo di Valorizzazione integrata dei siti archeologici sommersi. Dieci ingegneri che si sono alternati in quasi due anni di lavoro, per un costo che si è aggirato intorno ai 700mila euro. Cifra finanziata in parte dal Miur – attraverso i fondi Pac – e in parte da due start up dell’Unical, dalla stessa università e dal Cnr. Fino ad ora, questa nuova tecnologia è stata utilizzata in via sperimentale nell’Area marina protetta di Isola Capo Rizzuto, sul relitto di una nave romana nella baia di Punta Scifo, e in Sicilia nei pressi delle Isole Egadi.
Direttore del progetto è Franco Bruno che all’interno della trasmissione “Il posto giusto” su Rai3, uno spazio di approfondimento sul mondo del lavoro innovativo e della star up, ne ha spiegato il funzionamento. «Noi cerchiamo di riprodurre fedelmente in 3D il fondale del sito archeologico attraverso sonar, sensori ottici e sistemi di localizzazione. Una ricostruzione – spiega ancora il professor Bruno – che diventa ancor di più realistica grazia anche alla riproduzione fedele di flora e fauna. Poi con un semplice caschetto e attraverso un sistema che simula l’immersione in acqua, si può visitare il sito direttamente da casa. Senza bisogno di brevetti, di immersioni e quindi senza neanche bagnarsi».
La riproduzione, dunque, viene realizzata attraverso le numerose foto subacquee che vengono lavorate da un apposito sistema di creazione della realtà virtuale ideato dalle start up che hanno partecipato al progetto. Quindi, attraverso la creazione di una realtà aumentata, simile in parte a quelle utilizzate nei videogiochi, chiunque e da qualsiasi postazione può immergersi virtualmente in un sito archeologico sommerso. Inoltre, sono previste anche delle guide interattive che permettono di pianificare le visite in fondo al mare e avere precise informazione del luogo che si sta visitando. Questa particolare “visita guidata” può essere effettuata con un monitori 3D e degli occhialini polarizzati che aumentano il coinvolgimento degli utenti. Oppure si possono usare speciali visori, attraverso cui, muovendo la testa, l’utente può osservare tutto l’ambiente marino e con le mani controllare i suoi spostamenti.
Ma non è finita qui. Infatti, sempre durante la trasmissione è stato presentato anche il perno dell’intero progetto, ovvero il tablet subacqueo. Uno strumento che riesce dove gli altri non riescono ad arrivare: avvero permette a ricevere il segnale gps anche sotto il livello del mare. «Abbiamo usato un sistema basato sulle onde acustiche che si diffondono meglio in acqua e grazie anche ad un modem acustico integrato e posizionato sul retro del tablet. Tutto questo permette la geolocalizzazione – ha illustrato invece Marco Cozza, ingegnere informatico –. In questo modo il sub avrà dei riferimenti sulla sua posizione, sulla profondità o comunque informazioni in generale sull’area che sta analizzando».
Un nuovo modo di concepire il turismo, dunque, «più responsabile e sostenibile, migliorando l’offerta e ampliando il target di riferimento dell’utenza». E il piacere di esplorare e di scoprire non sarà più destinato a pochi fortunati.

Adelia Pantano
redazione@corrierecal.it

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