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«Il giudice Caccia ucciso per il suo "no" alla 'ndrangheta»

MILANO Esponenti della famiglia di ‘ndrangheta Belfiore «entrarono nel suo ufficio per convincerlo ad aggiustare processi e indagini, ma lui gli urlò addosso e gli sbatté la porta in faccia» e loro…

Pubblicato il: 13/03/2017 – 14:25
«Il giudice Caccia ucciso per il suo "no" alla 'ndrangheta»

MILANO Esponenti della famiglia di ‘ndrangheta Belfiore «entrarono nel suo ufficio per convincerlo ad aggiustare processi e indagini, ma lui gli urlò addosso e gli sbatté la porta in faccia» e loro «lo uccisero proprio per la rabbia di essere stati cacciati così, lo uccisero perché era inavvicinabile e incorruttibile». Così il pentito Domenico Agresta ha ricostruito, testimoniando nel processo milanese a carico di Rocco Schirripa, il movente dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia del 1983. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Milano Marcello Tatangelo, davanti alla Corte d’Assise, Agresta («la mia famiglia ha sempre fatto parte della ‘ndrangheta», ha detto) ha confermato anche quanto già detto a verbale nei mesi scorsi, ossia di aver saputo in carcere che ad ammazzare Caccia furono Rocco Schirripa (imputato) e Francesco D’Onofrio, ex militante di Prima Linea, ritenuto vicino alla ‘ndrangheta e da poco indagato anche lui come esecutore dell’omicidio. I due assieme, secondo Agresta, «hanno commesso tanti omicidi».
Proprio dalle dichiarazioni rese davanti al pm Tatangelo lo scorso novembre è scaturito, infatti, un nuovo filone di indagine sull’omicidio del magistrato (come mandante è stato già condannato in via definitiva Domenico Belfiore) aperto a Milano a carico di Francesco D’Onofrio, il quale, secondo l’accusa, avrebbe agito assieme a Schirripa (arrestato nel dicembre del 2015, il primo processo a suo carico è stato azzerato per un vizio formale) come esecutore materiale.
Agresta, parlando in videoconferenza e posizionato in modo da non rendere riconoscibile il suo volto, ha raccontato che quando era in carcere a Torino assieme a suo padre, tra l’aprile e il maggio del 2012, quest’ultimo parlando, alla presenza anche del boss Domenico Crea, disse che «il procuratore di Torino se lo sono “fatti” loro due», riferendosi a «Schirripa e D’Onofrio» e al fatto che loro «avevano ucciso» Bruno Caccia. Poco prima, ha spiegato il pentito, «Crea aveva fatto il nome di un altro ucciso (il pm ha invitato Agresta a non riferire quel nome, essendo le indagini in corso e coperte da segreto, ndr) e mio padre gli disse subito “quello se lo sono fatti Schirripa e D’Onofrio e pure il procuratore di Torino se lo sono fatti loro due”». E Agresta, poi, ha aggiunto: «Ho un ricordo al cento per cento di quella frase di mio padre, quei due sono persone terribili, ne parlavano tutti, hanno commesso tanti omicidi». 

Agresta, oltre a ripercorrere i reati da lui commessi (è stato condannato per omicidio) per la ‘ndrangheta («ho avuto un sacco di “doti”, anche quella di “padrino”», ha raccontato) e la sua decisione di collaborare, ha spiegato che tra il 2008 e il 2009, sempre in carcere, Placido Barresi, cognato di Domenico Belfiore, gli avrebbe detto il motivo per cui «avevano ammazzato Caccia». Barresi gli avrebbe raccontato che «erano entrati nel suo ufficio senza appuntamento e il procuratore gli urlò addosso e gli sbatté la porta in faccia, non erano riusciti a convincerlo ad aggiustare i processi. Barresi – ha aggiunto il pentito – disse che lui era incorruttibile e non ci si poteva parlare e l’avevano ucciso per questo».

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