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Scopelliti sconfitto dai fatti – SCARICA LA SENTENZA

LAMEZIA TERME Nell’era della post-verità, la sentenza che assolve Paolo Pollichieni e Lucio Musolino dall’accusa di aver diffamato l’ex governatore Scopelliti è un balsamo per il diritto di cronaca…

Pubblicato il: 23/03/2017 – 6:56
Scopelliti sconfitto dai fatti – SCARICA LA SENTENZA

LAMEZIA TERME Nell’era della post-verità, la sentenza che assolve Paolo Pollichieni e Lucio Musolino dall’accusa di aver diffamato l’ex governatore Scopelliti è un balsamo per il diritto di cronaca. Perché il presidente della giunta regionale – costretto a dimettersi nel 2014 dopo aver incassato una condanna per il “buco” nelle casse del comune di Reggio Calabria – è stato sconfitto dai fatti. Le sue tesi accusatorie, smontate dall’avvocato Antonino Battaglia, e la richiesta monstre di risarcimento (un milione di euro) non hanno retto all’esame rigoroso (non una semplice lettura, ma una scansione parola per parola) dei servizi realizzati da Pollichieni e Musolino. Perché, in soldoni, a macchiare l’immagine di Scopelliti non sono stati gli articoli pubblicati, all’epoca, da “Calabria Ora”; semmai i suoi comportamenti, così come riferiti nelle inchieste della Dda di Reggio Calabria.
Ha anche un altro valore, la sentenza firmata dalla giudice Patrizia Morabito: racconta una storia (“s” minuscola) che va a incastonarsi nella Storia (“S” maiuscola) del giornalismo calabrese. Parla, anche, di come si possa lasciare un giornale per non rinunciare alla propria autonomia. Non che la faccenda sia ignota alle cronache; ora, però, è impressa nero su bianco in una sentenza.

TESI DI SCOPELLITI TOTALMENTE INFONDATE E allora raccontiamole, queste storie. Seguiamo un percorso tortuoso, partiamo dalla fine e parliamo di soldi. Non soltanto Scopelliti non ha ottenuto il milione di euro chiesto (è persino superfluo rappresentare, nel contesto assai precario dell’editoria calabrese, quanto la cifra sia “fuori mercato”) ma dovrà versare 21.387 euro, più il contributo unificato di 1.221 euro, le spese forfettarie, Iva e Cpa. Sarà lui a pagare il legale che ha difeso i giornalisti e anche la consulente tecnica d’ufficio Tiziana Scambia.
Questo perché «a fronte di una domanda rivelatasi totalmente infondata già alla lettura degli articoli, post informatici e dichiarazioni televisive denunciate, si è accompagnata una richiesta risarcitoria rilevantissima, priva di riferimenti a qualsiasi parametro di liquidazione di danni da diffamazione correntemente determinato dalla giurisprudenza nazionale, idonea per la sua entità a intimidire il destinatario, disancorata a qualsiasi motivazione puntuale dei criteri di calcolo o determinazione di siffatta domanda, che appare connotata da profili di temerarietà». Verità (raccontata da Pollichieni e Musolino) contro post-verità (rappresentata dall’ex governatore).

L’AUTONOMIA DI UN GIORNALE Un passaggio della sentenza chiama a una riflessione più generale sull’editoria calabrese. In questa storia ci sono un “prima” e un “dopo”, separati dal 20 luglio 2010. Nel “prima”, Calabria Ora è diretto da Paolo Pollichieni, nel “dopo” il timone del giornale passa di mano. I fatti che l’ex direttore di CO e il cronista reggino denunciano da quel giorno in poi, «ovvero in concomitanza con la pubblicazione dell’ultimo articolo di Pollichieni su Calabria Ora, e che costituiscono per l’attore (Scopelliti, ndr) ulteriori spunti per richieste risarcitorie, gettano ben diversa luce sui fatti conseguenti alla diffusione delle sgradite notizie e dei suddetti articoli di stampa». Il 19 luglio, Pollichieni si dimette dalla carica di direttore, e lo seguono otto giornalisti della testata. Dichiara di essersi andato via «”né per motivi familiari né per motivi di salute”, e preannuncia che le ragioni delle dimissioni sarebbero state contenute in un editoriale del giorno dopo, l’ultimo a sua firma. L’editoriale del 20.7.2010, è l’articolo il cui titolo recita “Quegli incontri tra Scopelliti e Paolo Martino”: il direttore sembra voler “consegnare” ai lettori che le dimissioni siano dovute alla attenzione del giornale alla cronaca giudiziaria del momento, che vedeva sondare i rapporti tra chi rappresentava a quel momento il vertice delle istituzioni politiche regionali e soggetti accusati di appartenenza ad ambienti criminali». Anche questo editoriale era oggetto delle richieste risarcitorie di Scopelliti (anche in questo caso rigettate). Oltre alle parole di Pollichieni, la sentenza riporta reazioni, prese di posizione politiche che hanno seguito le dimissioni. Sono le «dichiarazioni rese alle testate giornalistiche on-line dall’onorevole Aurelio Misiti, e dal segretario regionale del PdCI Michelangelo Tripodi, che esprimono solidarietà a Pollichieni, ricordando come la testata da lui diretta si era distinta per aver tenuto alta l’attenzione sulla cronaca giudiziaria, dedicando spazio “alle inchieste della magistratura sui legami tra malavita organizzata e politica, a livello nazionale e regionale”, e come fosse grave l’avere il direttore del giornale ricondotto le proprie dimissioni al rischio di vedere limitata la sua autonomia, a causa delle inchieste pubblicate sui rapporti fra ‘ndrangheta e politica». Autonomia contro commistione tra politica e quarto potere.

QUERELA O INTIMIDAZIONE? Torniamo sulla carica intimidatoria della richiesta di risarcimento. Per farlo utilizziamo uno dei passaggi televisivi dell’affaire Scopelliti-giornalisti. È il 1° agosto 2010: Musolino torna a casa e trova una tanica di benzina con un messaggio «che mi dice – racconta in una puntata di Annozero – di smetterla con ‘ndrangheta, di seguire il mio ex direttore Paolo Pollichieni che si era da poco dimesso (da Calabria Ora, ndr) e… che la bottiglia di benzina era per me, non era per… per la mia macchina». Spiega anche che in quei giorno aveva scritto dei rapporti tra clan e politica e delle informative del Ros sull’inchiesta Meta. In una di queste informative saltava fuori la presenza, in un pranzo, dell’allora governatore. Con ospiti imbarazzanti come il boss Cosimo Alvaro, che discuteva con un consigliere comunale di Forza Italia di tessere in cambio di posti di lavoro. Per Scopelliti l’accusa è intollerabile. Secondo lui, il giornalista adombrerebbe addirittura un suo coinvolgimento nell’intimidazione subita. Invece, per il giudice, non c’è «nessuna accusa». «Non è proprio possibile, comunque le si voglia intendere – sottolinea la giudice –, leggere le dichiarazioni anzidette come un atto di accusa verso una singola persona (…). Lo Scopelliti è menzionato non già per indicarlo come aggressore, ma solo per spiegare sinteticamente ma concretamente quali rapporti tra mafia e politica erano emersi dall’inchiesta Meta». E anche in un’altra puntata di Annozero, questa volta in studio, Musolino – rievocando la vicenda – chiarisce: «Non lo dobbiamo stabilire noi che Scopelliti è colpevole o… o meno». Mentre Giulia Innocenzi, collaboratrice della trasmissione di Michele Santoro, sottolinea: «Quando c’è la minaccia di querela contro un giornalista c’è sempre una sproporzione di forze». Ai tempi dello scontro con Scopelliti e della pubblicazione delle informative di “Meta”, Musolino lavora ancora per Calabria Ora che, nel frattempo, ha cambiato direttore. È Piero Sansonetti a condurre la barca. Sulla giudiziaria non la pensa come il suo cronista. In un editoriale arriva a definirlo forcaiolo. Certo, Musolino continua a scrivere. A un certo punto, però, «durante le ferie, sabato sedici ottobre, io mi trovavo in…all’anniversario della morte di Fortugno… ricevo una… prima mi si blocca la… l’indirizzo mail mi viene chiuso, mi viene… telefonano e mi dicono che l’editore ha chiuso il mio indirizzo mail personale, e dopo mi arriva la lettera, per fax, di licenziamento». Editoria “allegra” contro diritti dei lavoratori.

LA GESTIONE SANSONETTI A Sansonetti e alla successione al timone di Calabria Ora, il Tribunale dedica un paragrafo significativo. Spiega che Scopelliti non può poggiare la propria richiesta sulle «condotte mantenute dal direttore del giornale su cui scriveva Musolino, succeduto al Pollichieni, ovvero quel Sansonetti di cui narra il post del Musolino sulla pagina “Faceb
ook” (Musolino era stato querelato anche per questo post su Fb, ndr) nelle due parti conclusive (“il cambio di direttore” e “il trasferimento e il licenziamento”), dalle quali si apprende che dopo il cambio direttore, il Sansonetti tentò di censurare in vario modo gli articoli del Musolino, ostentando un “garantismo” che il giornalista ha assimilato a un “bavaglio”, sostenendo che gli articoli fossero “un attacco violento a Scopelliti” e che sarebbe stato lui a stabilire “quando attaccare il governatore”, e tacciando il Musolino di (essere, ndr) forcaiolo, tentando di sostituirlo, di trasferirlo ad altra redazione (non riuscendoci per l’opposizione del comitato di redazione, che nel rapporto di lavoro del giornalista esercita una funzione di controllo su provvedimenti che potrebbero interferire con le tutele assicurate al dipendente, che svolge una funzione delicata, come la presente vicenda ben manifesta), per poi riuscire finalmente a licenziarlo». In questa storia – che la Fnsi utilizzerà per proporre al ministro della Giustizia Andrea Orlando una norma contro il fenomeno delle “querele temerarie” – c’è un “prima” e un “dopo”. Ci sono fatti e ricostruzioni precise contro interpretazioni fantasiose. C’è la difesa dell’autonomia a costo del reddito. Ci sono piccole storie di giornalismo. E piccolissime storie di ciò che il giornalismo non dovrebbe essere.

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