CETRARO Cosa spinge il Comune di Cetraro a non riscuotere il milione di euro che il Tribunale di Paola gli ha assegnato dopo la sentenza Azimuth che ha decapitato la cosca Muto? Il 21 settembre 2006 il Tribunale di Paola scrisse una pagina importante nella storia della lotta dello Stato contro la criminalità organizzata. Quel giorno, infatti, rivela oggi Cronache delle Calabrie, non solo ha condannato vertici e gregari del clan Muto a diversi anni di carcere ma anche a risarcire con dieci milioni di euro la presidenza del Consiglio dei ministri, tre milioni alla Regione Calabria, un milione di euro al Comune di Cetraro e 500 mila euro alla Provincia di Cosenza. Era la prima volta per la ‘ndrangheta calabrese, Quella decisione venne poi confermata sia in Appello che in Cassazione.
Un provvedimento che, per usare un eufemismo, avrebbe dovuto godere di maggiore fortuna. Invece a distanza di died anni quella prima fondamentale vittoria rischia di trasformarsi in un clamoroso boomerang. Perché almeno una parte di quei soldi non sono mai stati non solo incassati ma neanche richiesti. E quanto emerge dagli atti dell’inchiesta “Frontiera” con cui la Dda di Catanzaro ha sferrato un nuovo duro colpo alla cosca guidata dal rre del pesce Franco Muto.
Durante le indagini, precisamente il 3 marzo 2016, i carabinieri del Ros bussano alle porte del Comune di Cetraro, vogliono parlare con la responsabile del Settore legale del Comune di Cetraro. Al funzionario chiedono di esibire «gli atti all’ente, volti ad incamerare le somme liquidate in via equitativa, a seguito delle statuizioni della sentenza». In risposta alla richiesta agli investigatori vengono consegnati quattro documenti: una delibera del consiglio comunale del 2004, una della giunta del 2005 e due lettere del esterno incaricato dall’ente del 2007. «Dalla lettura di questi atti – annotano i militari del Ros – non si rintracciano elementi di alcun tipo attestanti che il Comune di Cetraro abbia, al fine, incamerato le somme liquidate in via equitativa finanche confermate dalla Suprema Corte». All’informativa dei carabinieri è allegato anche il verbale con le dichiarazioni della responsabile dell’ufficio comunale. Nelle dichiarazioni precisava di aver assunto «l’incarico nel 2010, avendo lavorato al Comune di Cetraro in tempi precedenti solo saltuariamente. Il legale aggiungeva di aver provveduto ella stessa ad ordinare nel 2011 l’archivio del settore locale dei Municipio, non avendo rinvenuto, sulla specifica vicenda, altri atti da quelli fomiti agli operanti».
«Agli atti del Comune e relativamente alla sentenza citata – fa mettere a verbale – ho avuto modo di rinvenire solo la documentazione che vi ho esibito. Aggiunga che mi farò parte attiva affinchè il Comune attivi tutte le procedure necessarie per incamerare le somme liquidate in favore di questo ente».
Una settimana dopo il Ros torna in Comune e chiede «di esibire i precipui atti di liquidazione della competenae a favore dello studio legale incaricato». Anche in questo caso la ricerca non produce il risultato sperato. La responsabile dell’ufficio però spiega ai carabinieri che il giorno successivo alla loro prima visita in Comune aveva scritto una mail all’avvocato che aveva avuto incarico dall’ente per chiedergli copia del fascicolo. Ma ancora una volta niente da fare. L’avvocato, sempre con mail, risponderà di non poter fornire i documenti richiesti perché già «archiviati». «Potrà il suo ufficio – scrive l’avvocato – rivolgersi agli organi giudiziari competenti per ottenere i provvedimenti di interesse». Insomma nessuno sembra sapere se il milione di euro di risarcimento sia stato mai effettivamente acquisito nelle casse dell’ente, né è possibile sapere se la parcella dell’avvocato esterno è stata pagata.
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