RENDE Le cose cambiano, come avvisa il titolo di un vecchio e bel film di David Mamet e per comprendere questi cambiamenti Paolo Jedlowski dice che serve immaginazione. L’immaginazione cui fa riferimento Jedlowski è quella sociologica di cui parlava Mills, cioè quell’approccio ai fenomeni sociali in grado di consentire allo studioso che osserva di cogliere le connessioni e le strutture interne alle società.
È dentro questi forti mutamenti, che pure a queste latitudini sono intervenuti, che si deve cercare la decisione nata tra i cubi dell’Università di dare vita a una laurea magistrale in Sociologia. In realtà si tratta di molte cose assieme. Per un verso è un vecchio progetto che trova concretezza dopo moltissimi anni, ma anche la naturale evoluzione di un percorso di studi che porta a creare un ambito specifico della didattica che, pur se presente, non si era ancora espresso nella maniera più compiuta.
È per questo che Paolo Jedlowski, ordinario di Sociologia presso l’Unical, parla di «un sogno che si realizza», perché tra le colline di Arcavacata – quando l’università nasceva tra campagne ancora arcaiche – e più tardi in mezzo ai Cubi, la società meridionale e quella globale sono state sempre scrutate con attenzione e scrupolo scientifico. Un lungo e nobile passato dietro le spalle, rappresentato, per fare alcuni rapidi esempi, dalle ricerche di Fortunata Piselli su emigrazioni e comunità di origine, Ada Cavazzani sul mondo agricolo, dallo stesso Jedlowski sui mutamenti dei ceti medi, da Renate Siebert sulle donne calabresi e sul ruolo delle donne nella mafia, Pino Arlacchi sulle mafie. Quei lavori e quegli anni hanno rappresentato una semina, di cui oggi si coglie il raccolto, «per meglio andare a vedere i nessi tra la vita degli individui e la storia collettiva». Questi nessi e i processi di cambiamento vanno compresi e governati, di qui l’esigenza di dare vita ad un profilo professionale in grado di padroneggiare le tecniche, senza trascurare la teoria sociale. Da questo punto di vista la Calabria è un laboratorio formidabile e a fare qualche esempio è il sociologo della politica Antonello Costabile. «Cosenza nei decenni si è svuotata – spiega Costabile – la sua popolazione è invecchiata e ha conosciuto un processo di contaminazione culturale ed etnica», per capire tutto ciò serve uno sguardo esercitato sul piano della metodologia, ma pure pronto ad operare sul campo. Il nuovo corso di laurea avrà il compito di forgiare professionisti in grado di cogliere i processi della politica, i rapporti con i cittadini, l’economia, il territorio, il lavoro ed intervenire su essi, in un mondo che sembra sempre più destinato a dare spazio alle forme della comunicazione, alle relazioni pubbliche, al rilevamento dei gusti, delle aspettative, dei bisogni e dei desideri delle persone. Per questo Costabile è persuaso della necessità di esperti dotati di sguardo e sensibilità sociologici. Un’esigenza potentemente attuale, eppure secondo Francesco Raniolo, direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali, già percepita da Andreatta, l’economista che per primo guidò l’università. Raniolo spiega infatti che l’Unical era stata pensata come un corpo e due anime, quella rappresentata dalle facoltà scientifiche e quella delle scienze sociali ed economiche. «Oggi le Scienze umane sono quelle che attirano il maggior numero di studenti, ma verso cui esiste anche una domanda che viene dal mondo delle imprese e delle amministrazioni, anche per via delle questioni aperte e sempre più urgenti, come il rapporto tra i territori e la globalizzazione». E in questo mondo in cui nulla è mai uguale a prima, capire le cose significa già cambiarle un poco.
Michele Giacomantonio
redazione@corrierecal.it
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