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L’ombra dei clan (anche) tra gli ulivi del Tap

LAMEZIA TERME Manager in affari con la mafia, valigie piene di soldi, oligarchi russi, affaristi italiani legati alla politica, casseforti anonime con la targa offshore. E un collegamento con la ‘n…

Pubblicato il: 02/04/2017 – 7:30
L’ombra dei clan (anche) tra gli ulivi del Tap

LAMEZIA TERME Manager in affari con la mafia, valigie piene di soldi, oligarchi russi, affaristi italiani legati alla politica, casseforti anonime con la targa offshore. E un collegamento con la ‘ndrangheta che non manca mai. Sono, secondo l’Espresso in edicola domenica, gli scheletri nell’armadio del Tap, il maxi gasdotto che passerà nel Salento e ha già provocato polemiche e scontro per lo sradicamento dei primi 231 olivi. 
Il Tap inizia in Azerbaijan e arriva in Puglia, costerà 45 miliardi. E nei documenti riservati della Commissione europea, consultati dal settimanale, emerge il ruolo cruciale di una società-madre, finora ignota: l’azienda che ha ideato il gasdotto.
In Egl anche l’amministratore delegato è un cittadino svizzero: Raffaele Tognacca, un manager che in Italia ha lavorato anche con il gruppo Erg. Tornato in Svizzera, ha lanciato la finanziaria Viva Transfer. «Che un’indagine antimafia – racconta l’Espresso – ha additato come una lavanderia di soldi sporchi». Intervistato dalla tv svizzera italiana, il pm Michele Prestipino descrisse la vicenda come «un caso esemplare di riciclaggio internazionale di denaro mafioso». Questo brano della storia inizia nel 2014, quando la Guardia di Finanza scopre un presunto clan di narcotrafficanti collegati alla ‘ndrangheta. Il capo, Cosimo Tassone, è calabrese: è accusato di aver importato oltre mezza tonnellata di cocaina. Quando viene intercettato, deve versare un milione e mezzo di euro ai narcos sudamericani. I calabresi reclutano un promotore toscano e i suoi due figli, che accettano di «portare quei soldi in contanti, dentro due trolley, a Lugano, nella sede della Viva Transfer», come confermano le confessioni dei corrieri poi arrestati. A ricevere i pacchi di banconote è «Raffaele Tognacca in persona». Proprio il manager che ha tenuto a battesimo il Tap.
C’è un intoppo: i narcos hanno ricevuto mezzo milione in meno. Tassone sospetta dei corrieri toscani: «Gli spacco la testa!». Un figlio del promotore viene sequestrato in Brasile. Finché il clan si convince che è Tognacca ad aver incamerato una parcella di oltre 400 mila euro («il 35 per cento!»). A questo punto scattano gli arresti. Al processo, in corso a Roma, i pm hanno formulato una specifica accusa di riciclaggio. E hanno chiesto ai magistrati svizzeri di indagare sulla parte estera. Tognacca si è difeso dichiarando di «non essere stato oggetto di nessuna misura penale». Per i pm italiani il reato resta assodato. Ma i giudici elvetici potrebbero aver archiviato per «mancata prova del dolo»: Tognacca poteva non sapere che erano soldi di mafia. Ma l’ombra sui rapporti con i narcos calabresi rimane. E si stende anche tra gli ulivi del Salento.

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