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Cosenza, in Aula la testimonianza dello zio di Cocò

COSENZA «Ho visto mio padre per l’ultima volta il giorno in cui è stato ucciso». Lo ha detto, nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza, Giuseppe Iannicelli, lo zio del piccolo Cocò Campolongo, il …

Pubblicato il: 05/04/2017 – 15:50
Cosenza, in Aula la testimonianza dello zio di Cocò

COSENZA «Ho visto mio padre per l’ultima volta il giorno in cui è stato ucciso». Lo ha detto, nell’aula della Corte d’Assise di Cosenza, Giuseppe Iannicelli, lo zio del piccolo Cocò Campolongo, il bambino di soli tre anni ucciso e bruciato in auto nel gennaio 2014, a Cassano allo Jonio, con il nonno Giuseppe Iannicelli e la compagna marocchina di questi Ibtissam Touss. Sul banco degli imputati ci sono Cosimo Donato detto “Topo” e, appunto, Faustino Campilongo detto “Panzetta”. I due sono accusati di triplice omicidio. In particolare, secondo l’accusa contestata dalla Dda di Catanzaro, i due avrebbero attirato in una trappola Giuseppe Iannicelli, per conto del quale spacciavano droga, perché divenuto un personaggio scomodo per la cosca degli Abbruzzese e anche per aumentare il proprio potere criminale. Il piccolo Cocò, secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Cosenza, sarebbe stato ucciso perché il nonno lo portava sempre con sé, come uno “scudo umano”, per dissuadere i malintenzionati dal colpirlo. Dopo il triplice omicidio, gli assassini bruciarono l’auto di Iannicelli con all’interno i tre corpi.
La Corte di Assise (presieduta dal giudice Giovanni Garofalo, a latere la collega Francesca De Vuono) mercoledì mattina nel corso di una lunga udienza ha ascoltato per prima il figlio minorenne di Giuseppe Iannicelli, una delle vittime del triplice omicidio. «L’ultimo giorno che ho visto mio padre – ha detto il ragazzo rispondendo alle domande del pm della Dda Saverio Vertuccio (che rappresenta la pubblica accusa assieme al procuratore aggiunto Vincenzo Luberto) – è stato il 16 gennaio del 2014 giorno in cui è stato ucciso: era a casa solo con Cocò e mi disse che mi sarebbe venuto a prendere alle 19 alla sala giochi. Sapevo che doveva andare a Sibari a comprare alcune medicine. A volte papà usciva con la signora marocchina uccisa e con il piccolo Cocò perché diceva che per il suo passato sarebbe stato più vicino con loro accanto. Quella notte quando tornai a casa papà non era in casa e sentivo nei pressi odore di bruciato provenire proprio dalla zona in cui poi è stata trovata la sua macchina. Sentivo odore di carne bruciata ma non potevo immaginare». Il giovane era preoccupato e chiamò la sua fidanzata che era la figlia di Cosimo Campilongo affinché Cosimo lo aiutasse a trovare suo padre: «Arrivarono Cosimo e Panzetta. Era tardi: scesero dall’auto di Donato e mi chiesero che cosa fosse successo. Mi dissero che non avevano visto mio padre. Ricordo che entrambi avevano uno strano odore di benzina e che avevano le mani nere e unte. Li presi in giro per questo odore e mi dissero che avevano rubato nafta. Erano agitati e anche nella macchina di Donato c’era puzza di benzina. Mio padre con loro aveva un rapporto di amicizia: si scambiavano favori. Donato non era molto favorevole alla relazione che avevo con sua figlia. Mio padre gli disse di stare tranquillo e mio padre era un tipo autoritario». Il ragazzo ha ricostruito il giorno dei funerali, i successivi rapporti con i due imputati. Alcuni particolari sono emersi poi in sede del controesame svolto dagli avvocati della difesa, gli avvocati Franco e Cordasco.
È stato poi ascoltato un altro teste, che comprava la droga dai due imputati e che è il nipote di Saverio Magliari, ritenuto il boss di Altomonte dedito al traffico di droga. «Campilongo e Panzetta – ha detto il giovane – si vantavano di spacciare droga anche a Firmo: prima si rifornivano da Iannicelli e poi da Magliari. Magliari diceva che Iannicelli era poco affidabile. Non so perché Magliari non sopportasse Iannicelli ma non gli dava fastidio che lui spacciasse a Firmo. Dopo la morte di Iannicelli, Campilongo e Donato intensificarono i rapporti con mio zio». Il processo è stato aggiornato al prossimo 20 aprile.

Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it

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